La stagione dei sequestri è un ricordo drammatico per i sardi e per la Sardegna. Uno dei sequestri più efferati (esclusi quelli le cui vittime non hanno mai fatto ritorno a casa) è stato senz’altro quello di Pupo Troffa, un ricco uomo d’affari sassarese prelevato il 3 novembre del 1978 da un commando composto di sei uomini e una donna: Luciano Gregoriani, Giuseppe Mureddu, Salvatore Cadeddu, Gonario Mulas, Daniele Mulas, Antonio Felline ed Elsa Sotgia. Troffa restò in mano dei banditi 243 giorni, otto mesi caratterizzati da crudeltà, da maltrattamenti e da stenti. La liberazione avvenne dietro il pagamento del riscatto di un miliardo di lire e la banda venne arrestata dopo la piena confessione proprio del capo dell’anonima, quel Luciano Gregoriani che diventerà collaboratore di giustizia con quel giudice Lombardini, poi suicidatosi. Della banda, come si è già detto, faceva parte Elsa Sotgia, una giovane madre separata che da poco aveva stretto una relazione con Antonio Felline, un imprenditore nuorese, laureato in giurisprudenza, considerato uno dei cervelli dell’anonima insieme a Gregoriani. Elsa Sotgia, come tutti i membri della banda, fu riconosciuta colpevole nei diversi gradi di giudizio e condannata a vent’anni di reclusione. Perché ho deciso di farne il personaggio del giorno? Semplice: perché fin dalla sua scarcerazione, dopo aver saldato i debiti con la giustizia, continua a far parlare di sé. Ha deciso di vivere la sua libertà come una barbona e di far pesare sulla società la sua condizione di vittima di una giustizia che lei definisce ingiusta. Nell’ottobre del 2008 la cronaca si interessa di lei: vive a Gorizia dopo aver girovagato per qualche tempo nell’ex Jugoslavia e in Serbia, e ha scelto come dimora una panchina dei giardini pubblici alla quale ignoti hanno dato fuoco, per fortuna in sua assenza. Il fatto desta scalpore e parte, immediata, la gara di solidarietà e di aiuti. Cittadini e istituzioni si prodigano per offrirle un letto e un tetto presso strutture di accoglienza, ma, da sarda caparbia e orgogliosa quale ama definirsi, rifiuta sdegnosamente. I giardini pubblici continueranno ad essere la sua residenza, e la nuova panchina, fatta riposizionare dal sindaco, la sua casa, il suo letto. Naturalmente le vengono messe a disposizione delle coperte, le vengono donati capi di abbigliamento e, da fumatrice accanita, non le vengono fatte mancare le sigarette. Dalla scorsa estate Elsa Sotgia è rientrata in Sardegna. Si è stabilita a due passi dal mare, a poche decine di metri da quella che era stata la sua residenza prima di incappare nei guai giudiziari. Fino al momento del suo arresto, infatti, abitava in una graziosa villetta a Platamona (la Marina di Sassari) che, secondo gli atti del processo, era stata una delle basi operative ai tempi del sequestro Troffa. Finché il tempo è stato clemente, nonostante in tanti abbiano cercato di convincerla ad accettare il trasferimento in qualche struttura di accoglienza, la sua vita all’aperto, al riparo di strutture improvvisate, ha destato più curiosità che pietà, anche perché, dobbiamo riconoscerlo, il suo atteggiamento dà l’impressione dell’arroganza, della prepotenza, della volontà di farci sentire responsabili dei suoi guai giudiziari, del suo destino, della sua condanna ingiusta. Il tempo, in questo scorcio di gennaio, è notevolmente peggiorato, il vento gelido di tramontana ha spazzato via la baracca che la Sotgia si era costruita sulla spiaggia e in tanti si sono preoccupati per la sua salute, per la sua incolumità. Anche la casetta costruita utilizzando la pensilina dell’ATP, dove si è trasferita nel frattempo, è stata distrutta dal temporale. Nei giorni scorsi i volontari del gruppo Guardian Angels, sfidando le intemperie, hanno ricostruito quell’improponibile abitazione, mentre Elsa Sotgia continua il suo particolare sciopero, rifiuta sdegnosamente di tornare in una società disposta ad accoglierla, ma che lei continua a disprezzare e a respingere. Dice di essere insofferente alle regole, di odiare le struttura di accoglienza troppo simili alle carceri; dice di essere allergica ad ogni cura medica; dice di voler essere libera da ogni imposizione in nome di una condanna inflittale ingiustamente. Ora, diciamocelo sinceramente (1), Elsa Sotgia, un’anziana signora dall’età indefinibile (la sua età varia, a seconda della testata giornalistica, dai 64 anni agli 80 anni) ha deciso di prendersela con l’umanità per i suoi trascorsi. Ha deciso, questa volta, di ergersi a giudice di una società che l’ha condannata secondo giustizia, ha deciso di far pesare sulle nostre coscienze una situazione di cui lei, e solo lei, è responsabile. Ora, diciamocelo sinceramente (2), il sequestro di persona è uno dei reati più abominevoli ed Elsa Sotgia non era certo dalla parte dell’ostaggio, non lo è mai stata e non ha mai mostrato un filino di pentimento… Le nostre coscienze possono stare tranquille!
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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