Leggo su Il Fatto quotidiano una feroce critica al Commissario Montalbano, conclusa con la proposta di rimuovere questa fiction dal palinsesto della Rai: secondo il critico estensore dell’articolo sarebbe vecchia, ripetitiva, scialba, superata, nazionalpopolare. Libero di pensarla come crede. Ma sappia il giornalista de Il Fatto che io sono invece tra quelli che continuano ad appassionarsi alle vicende di Montalbano, vent’anni dopo averne letto i romanzi pubblicati da Sellerio e quindici anni dopo aver visto il personaggio di Camilleri diventare protagonista dello sceneggiato televisivo. Debbo ritenere di non essere il solo a pensarla allo stesso modo, se l’ultima puntata di Montalbano ha avuto 11 milioni di spettatori e il 44 per cento di share, percentuale che normalmente si leggono solo dopo una partita della nazionale importante o la serata finale del Festival di Sanremo. A me quel Montalbano che mescola italiano e siculo continua a piacere, mi continua a piacere la sua nuotata mattutina davanti casa – privilegio per pochi, certo, ma beato lui! – e quell’indugiare sul cibo, nelle terrazze dei ristoranti vista mare. Mi piacciono le immagini aeree di quei luoghi della Sicilia arroccati sul mare, adoro i violini che lacrimano musica nella colonna sonora e certe comparse che, in poche battute, esprimono l’essenza di una terra. Trovo ancora avvincente la complessità umana di certi personaggi, la concatenazione delle storie, il ruolo della casualità nel dipanarsi delle storie. Dice, il giornalista de Il Fatto, che Montalbano è banale. Io avrei trovato molto più banale un commissario impegnato esclusivamente a combattere la mafia. Scelta scontata, come se in Sicilia non esistesse altro. Invece c’è dell’altro e Camilleri lo racconta attraverso le azioni del suo commissario. Se lo sbirro così anticonformista sembra improbabile, al critico de Il Fatto, sappia che ho conosciuto sbirri che si esercitavano a suonare il violino in commissariato ed altri che citavano a memoria i classici latini, durante le conferenze stampa per illustrare l’arresto di qualche spacciatore da poco. E sappia che non ho mai ringraziato tanto un carabiniere quanto quella volta che un ufficiale, prima di una conferenza stampa, mi chiamò in privato per accordarmi con lui su certe domande che avrei dovuto porre: si trattava di alleggerire pubblicamente la posizione di un vecchio accusato di omicidio, la cui mano era stata armata da anni di soprusi e percosse subite. Mi sentii orgoglioso, nei panni di Nicolò Zito. Infine: se tanta gente vede ancora Montalbano, in tempi in cui lo sport preferito è tentare la demolizione della Rai, significa che la nostra emittenza pubblica ha ancora una sua ricchezza da difendere. Io spero che il giornalista dei Il Fatto questo pezzo lo riscriva, minimo tra vent’anni.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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