Qualche giorno fa, sono stato ospite del Centro di educazione ambientale di Assolo, paese di poco più di 400 abitanti alle falde della Giara. Con loro ho anche visitato la scuola di Ruinas, altro ameno paesino della Brabaxana, dove abbiamo tenuto una lezione di educazione ambientale. Scuola media che riunisce gli studenti di ben sei paesi circostanti. Chiudono le scuole, insomma. Paesi impegnati duramente per sopravvivere allo spopolamento. Percorrendo di sabato pomeriggio le strade della zona, ho potuto rilevare la diffusa presenza di cicloamatori. Gente di ogni tipo ed età che scorrazzava, quasi tutti con bici speciali e attrezzatura idonea, in quel paesaggio collinare da cartolina. Il paradiso dei cicloamatori: strade senza traffico, paesaggi incantevoli, clima buono, percorsi con l’imbarazzo della scelta. Uno di quei settori turistici che porteranno, se i sardi non saranno del tutto rincoglioniti dallo strapotere dell’automobile, soldi e lavoro nell’isola. Per converso, nel mio recente soggiorno londinese, ho avuto modo di rilevare la straordinaria presenza di ciclisti urbani nel caotico traffico della metropoli più cosmopolita del mondo. Il numero dei ciclisti per le strade di Londra pare sia triplicato negli ultimi 15 anni, con sensibile miglioramento del traffico e dell’inquinamento. Torme di ciclisti attrezzati di tutto punto per muoversi nel caotico traffico cittadino, anche notturno, si incuneano tra le auto ferme ai semafori. Si piazzano davanti in attesa del via, e scattano all’unisono come forsennati, che neppure Cavendish, per evitare lo strombazzamento degli automobilisti. La maggior parte si districa con abilità invidiabile nei meandri di quella giungla, spesso spingendo rapporti degni del miglior Wiggins, con bici di ogni tipo, dalla lussuosa Pinarello ad altre raffazzonate alla bell’e meglio; tengono botta anche quelli con le piccole bici pieghevoli. Ho assistito a questa scena: un giovane ciclista che giungeva di buona lena in centro, vicino all’abbazia di Westminster, legava a catena la bici nel marciapiede, e poi si cambiava all’aperto. Ovvero sopra i capi tecnici da ciclista, tolto il giacchino, indossava giacca e cravatta, così, senz’altro, pronto per l’ufficio. Questo boom dei ciclisti londinesi non è solo amore per il fitness, non è solo un vezzo sportivo ed eccentrico. E’ molto più fenomeno sociale che di costume. Non c’è molto relax in quelle corse forsennate, tipiche di un ambiente che vive immerso nella fretta, dove tutto è concepito per guadagnare tempo, come la bevanda calda al bar servita regolarmente in confezione d’asporto da consumare in cammino. Tutti corrono, a Londra come nelle altre metropoli: una fiumana di persone trotta velocemente ad un ritmo prestabilito. Anche il pacifico viaggiatore che passeggia, non può fare altro che tenere quel ritmo per non intralciare, per non essere travolto. E il costo della vita, a Londra, specie dei trasporti, è esorbitante. Il ciclista londinese, dunque, pare dover sopravvivere alle tipiche ossessioni dell’uomo moderno: risparmio di tempo e di denaro. In questo caso, fa proprio di necessità virtù. Si superano le auto nella gara a risparmiare il tempo, si risparmia il costo dell’abbonamento della metro e dei bus. Inoltre, volendo, si aggiunga che ritorna a casa che si è già sorbita la propria dose di quotidiano fitness, altra ossessione necessaria per rispondere ai dettami moderni del glamour e della performance. Al punto che, al ciclista pendolare urbano, si è affiancata un’altra curiosa categoria, quella del podista con zaino appresso. In questa categoria, ho notato, molte le donne. Anche in questo caso, si usa la corsa come mezzo di trasporto. Una volta giunti in ufficio di corsa, ci si cambia e si è pronti per il lavoro. Pensate ora al paradosso del modello urbanistico che ci siamo cuciti addosso. I nostri nonni andavano al lavoro a piedi o in bicicletta. Poi le sirene della città ci hanno procurato la comodità di accentrare nello stesso limitato spazio i luoghi di studio, di lavoro e gli altri servizi. Tuttavia, con il tempo, le città sono diventate talmente grandi da produrre l’effetto opposto a quello sperato. In pratica, a Londra, che se vogliamo è l’avanguardia della cultura cittadina mondiale, nel bene e nel male (si ricorderanno i primi morti per intossicazione da “smog” negli anni ’50”) è come se si fosse tornati all’antica. Di nuovo a piedi e in bicicletta. Ecco, per dire: pensiamoci, quando anche in Sardegna parliamo di città metropolitana e di spopolamento dei piccoli paesi. Riflettiamo, alla luce di quello che vediamo nel mondo, se ne vale davvero la pena proseguire in questo modo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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