L’ultimo messaggio che Chris riuscì a scrivere sul suo diario di viaggio, prima che le forze lo abbandonassero per sempre, suonava come una resa, forse come un pentimento tragicamente fuori tempo massimo: “Happiness is only real when shared”, la felicità è reale solo se condivisa. Per condivisione Christopher McCandless non intendeva quella sui social, perché quell’ultimo pensiero sgorgò come un bilancio finale della sua esperienza nell’agosto del 1992, ben prima che Facebook e Twitter facessero irruzione nelle nostre vite. Ma se oggi io ne scrivo e se chiunque si imbatta in questa storia è costretto a porsi delle domande, significa che la scelta di vita di questo giovane americano benestante è rimasta, ha colto nel segno, pone dei dubbi in tutti noi. il cadavere di Chris McCandless venne scoperto da un gruppo di cacciatori nel settembre di quell’anno, secondo il medico legale diciotto giorni dopo la morte. Un mucchietto d’ossa dentro la carcassa di un autobus abbandonato in un’area desolata dell’Alaska, a due passi da un fiume. Su un legno, incisa, la sua firma: Alexander Supertramp, lo pseudonimo che aveva scelto per la sua seconda vita da cavaliere errante. Quando lasciò questo mondo, Chris aveva 24 anni e pesava trenta chili. Lo uccisero la fame o, più probabilmente, un’intossicazione causata da piante velenose. Le mangiò forse per disperazione. Era una breve di cronaca su uno sbandato morto di stenti, ma poi divenne un libro e nel 2007 un film di grande successo: “Into the wild”, per la regia di Sean Penn. Chris McCandless era nato in Virginia nel 1968. Apparteneva ad una famiglia benestante ed il padre, ingegnere, aveva fatto parte dell’equipe della Nasa che lavorava al programma spaziale americano. Chris si era laureato in storia col massimo dei voti ma, mentre la famiglia borghese preparava per lui una regolare carriera, il ragazzo sparì, non prima di aver lasciato in beneficenza il denaro depositato sul sul conto corrente. Percorse qualche centinaio di miglia sulla sua vecchia auto, poi abbandonò anche quella e prosegui la sua marcia a piedi. Non fece più avere sue notizie al padre, alla madre e alla sorella. Era l’estate del 1990. Chris non aveva una meta precisa, ma un obiettivo preciso sì. Vagare per l’America senza soldi, vivendo di quel che la natura gli offriva, lontano dagli agi e dalle ambizioni della vita borghese, godendosi ogni momento di bellezza si fosse presentato sulla sua strada tracciata dal caso: un tramonto, una mareggiata, il volo acrobatico di uno stormo di uccelli migratori. Una scelta meditata, nel rifiuto di ogni conformismo. Rifiutare per quanto possibile il denaro, rifiutare la vita intesa come competizione col prossimo, rifiutare il sistema. Per due anni Chris camminò, scalò montagne, remò e si lanciò dalle rapide su un kayak fino a giungere in California. Viveva di pesca, di caccia, di frutta e verdure trovate per strada, ad un certo punto vendette i libri che lo avevano accompagnato nel gigantesco zaino in tutti suoi spostamenti. Conobbe e fece amicizia con una coppia di hippy, con i mietitori di grano del Dakota e un vecchio veterano americano, accettò piccoli lavori saltuari quando del denaro non poteva proprio fare a meno. Sfiorò l’amore, ma alla bella Tracy ebbe l’onestà di dire di no, quando fu il momento di partire per l’ultima e fatale tappa: l’Alaska. Nella carcassa del bus abbandonato, in un ambiente ostile ed estremo, Chris capì che non avrebbe potuto vincere la Natura e nemmeno ci avrebbe potuto sempre convivere, se le condizioni non lo avessero permesso. E forse quell’ultimo messaggio è figlio di quell’acquisizione, forse della nostalgia per la famiglia abbandonata due anni prima, oppure un ultimo cedimento al desiderio di una vita normale, serena. Oppure no, forse quell’ultimo messaggio non era affatto una resa. Forse l’annuncio di una conquista. forse la condivisione era nell’aver vissuto in mezzo alla natura, più intensamente che potesse. Perché la solitudine di Chris, in fondo, era molto meno solitudine di certe cosiddette esistenze normali, ristrette in uffici al trentesimo piano nella speranza di una promozione e di uno scatto di stipendio mentre la vita, tutt’attorno, scorre e finisce.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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