Fino a due anni fa eravamo tutti Charlie…
Quel Je suis Charlie, che orgogliosamente campeggiava nelle nostre bacheche, lo avevamo scritto nell’incrollabile convinzione che la satira fosse espressione di libertà e che non andasse imbavagliata. Avevamo manifestato, con la matita nella foto del profilo, la nostra vicinanza ai redattori del settimanale satirico esortandoli a non lasciarsi intimidire dall’assalto al giornale e da quei dodici cadaveri sparsi sul campo. Ma già l’anno successivo, nel gennaio 2016, dopo la vignetta dedicata alla tragedia di Amatrice, quella matita di partecipazione emotiva si era spuntata.
E noi non eravamo più Charlie…
Perché la satira va bene su tutto, basta che stia lontana da casa nostra. Quindi via libera su Maometto, sui musulmani e anche su Allah, purché non smuova le corde del nostro patriottismo nazional-popolare. Ma, si sa, più si avvicina a noi più diventa scadente e insulsa e offensiva.
L’ultima vignetta ha nuovamente scatenato una valanga, stavolta metaforica, di polemiche e sdegno per l’ironia indirizzata alla disgrazia dell’Hotel Rigopiano. Tra le varie critiche svetta l’accusa rivolta agli autori che quella caricatura fosse offensiva nei confronti delle vittime. Eppure la satira, proprio perché tale, mette alla berlina l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo, estremizza gli eventi, schiaffa un’impietosa e dissacrante lente d’ingrandimento su persone e situazioni. Sotto quest’ottica è un meraviglioso vettore di democrazia, raccoglie e reclama l’applicazione del principio di uguaglianza.
E invece no!
Ognuno decide solipsisticamente cosa sia adeguato ai fini satirici e cosa non lo sia: ne decreta il limite, la liceità, la quantità e la misura. Stabilendo, dopo aver indossato il proprio grossolano egocentrismo, cosa sia appropriato rendere oggetto di satira oppure no. Qualcuno ritiene addirittura che gli autori siano indegni di essere sopravvissuti all’assalto.
Eppure la satira non si limita a prendere in giro, quello è forse l’aspetto più evidente ma anche meno rilevante, perché il sorriso è solo un mezzo e non il suo fine. Essa dissacra, sgretola, esaspera e l’effetto che si raggiunge è semplice, anche se non così immediato, mostra il problema da un’altra angolazione aiutandoci ad attraversarlo. È questo il motivo per il quale può anche non piacere, è libertà anche quella, ma non deve indignare o scandalizzare. Semmai far riflettere.
L’ultima vignetta, per esempio, punta il dito sulla decisione di spostare dalle 15.00 alle 19.00 l’orario dello spazzaneve che avrebbe dovuto portare via gli ospiti dell’hotel Rigopiano, perché a torto considerati al sicuro dentro l’albergo, come racconta il superstite Quintino Marcella. Ma poi, in un rimpallo di responsabilità ormai assai diffuso, la colpa è dell’inadeguatezza di quel casolare straordinariamente diventato un resort di lusso. E della delibera comunale “ambigua”, da cui è poi scaturita l’inchiesta denominata Vestina, concretizzata in un processo nel quale sono stati tutti assolti, ma che ipotizzava un passaggio di denaro e posti di lavoro in cambio di un voto favorevole per sanare l’occupazione abusiva del suolo pubblico.
Insomma, storie tutte italiane. Però questo lo possiamo dire solo noi, perché se lo fanno gli altri non va bene. Offendono. Come si permettono? Sono irrispettosi delle vittime. “Le donne son tutte puttane, tranne mia mamma.”
Ricky Gervais ci ricorda che la finalità della satira è proprio questa: aiuta a smitizzare le sciagure. “È esattamente così che si è evoluto l’umorismo, per farci superare le cose di merda. Se non puoi fare battute sulle cose di merda, non c’è alcun motivo di farle sulle cose belle. A tutti piacciono i palloncini, ma chi cazzo se ne frega?”
Dovremmo averlo ormai capito che cose di merda accadono anche da noi. E la satira, che piaccia o meno, va inflitta con obiettività e senza sconti per nessuno. Nemmeno per gli italiani.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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