Questa faccenda di Bianca Berlinguer fatta fuori mi disgusta più dell’editto su Enzo Biagi. Anzi, mi disgusta del tutto, mentre quello non mi disgustava. L’ho considerato, quello contro Biagi, un attacco alla democrazia e alla cultura proveniente da sponde straniere, da un altro mondo, come se, per la strada, all’improvviso, un teppista ti si para davanti. Ti difendi, ma non ti indigni, fa parte della vita. Per la Berlinguer, no. Il sacerdote, che ieratico impugna il coltello sacrificale, e la vittima appartengono entrambi al mio mondo. Roba mia. Si sta commettendo a casa mia un atto che disapprovo. Ed ecco perché il mio personaggio del giorno è appunto Bianca Berlinguer. E’ una posizione molto personale, lo capisco. Dovrei spiegare perché nessun governo debba mettere le mani dentro la pasta dell’informazione. Ma, essendo io di sinistra, non riesco a non provare un sentimento particolare di delusione e di paura per questa sinistra di governo che con simili atti perde la sua credibilità ideologica di fondo forse più che con le sue discutibili ma – così si dice – necessarie alleanze. Ci sono ricordi personali che mi impediscono l’obiettività in queste poche righe. L’avere visto, innanzitutto, la collega Berlinguer al lavoro e averne apprezzato le doti professionali e umane. E fare cronaca insieme, anche una sola volta, suscita una solidarietà che poi non si cancella più. Anni fa, quando lei (almeno così ricordo) non era ancora alla direzione del Tg3, visitammo insieme per un’intera giornata il carcere sassarese di San Sebastiano, cella per cella, parlammo con decine di detenuti in quello che allora era uno degli istituti di pena più vergognosamente sovraffollati d’Italia. Vedemmo con i nostri occhi che cosa significasse vivere in quattro o cinque, uno dei quali magari malato di Aids, in una cella di tre per tre con il cesso separato da mezzo schermo di lamierina arrugginita. Ricordo, nella collega Berlinguer, lo stesso mio orrore e la stessa pietà tenuti a bada dalla freddezza professionale. A esempio, al racconto del detenuto sdentato e tossico che ci disse infine: “Sapete, vivere attaccati a un cesso senza pareti è come vivere in un cesso. Ma va bene. Così mi ricordo che la vita che mi sono scelto è proprio un cesso. Spero che qualcuno tiri al più presto la catena”. Non so se la collega Berlinguer lo ricordi – in questo momento avrà altre cose a cui pensare – ma a quel racconto ebbi la percezione che ciascuno di noi evitasse di guardare verso l’altro, per non scoprirci a vicenda delle lacrime che quando stai facendo il cronista bisogna sapere inghiottire. E poi un altro ricordo. Io ho lavorato per molti anni nella Nuova Sardegna della Sir di Nino Rovelli, prima che il gruppo Caracciolo l’acquistasse nel 1981, facendone un grande giornale e parte importante di una azienda editoriale pura. Rovelli, come è noto, era tutt’altro che un vero e proprio editore. I giornali gli servivano soprattutto per costruire un appoggio politico al suo impero chimico. E anche se dei miei anni rovelliani non ricordo particolari repressioni politiche e professionali (forse perché si era già esposto troppo negli anni precedenti), vivevo con coscienza quotidiana la sensazione di un fine ultimo che non era l’informazione ma qualcosa d’altro. Devo dire che non c’è mai stato un esplicito divieto a informare o a controllare con l’informazione chi esercitava il potere, ma intuivo che “certe” informazioni e un “certo” potere sarebbe stato meglio lasciarli stare. Insomma, un fare il giornalista con l’impressione costante che non fosse quello che interessava principalmente il tuo editore. Situazione che razionalizzai retroattivamente quando con Caracciolo percepii che invece il mio nuovo editore voleva esclusivamente che io facessi del buon giornalismo. “Più fai il tuo mestiere dando quante più informazioni riesci a raccogliere e facendo il cane da guardie contro chiunque detenga i poteri locali e quello centrale, e più il nostro giornale diventa solido e ricco”. E’ quest’ultima l’aria che si respira nella Rai, azienda di uno Stato attualmente governato da un partito che si dice di sinistra, o quella che si respirava alla Nuova ai tempi della Sir? Chissà. Spero che la disperata ricerca di consensi per il futuro referendum costituzionale che con la Costituzione ormai non c’entra un cavolo se non per volerci mettere mano con la grazia di un cinghiale che irrompe in tutù sul palco del Lago dei Cigni, non provochi sconquassi che non faranno piacere né a quelli del sì né a quelli del no. Per adesso, collega Bianca Berlinguer, tutta la mia ammirazione per il tuo bellissimo Tg3, una delle migliori testate giornalistiche degli ultimi anni. E un’affettuosa stretta di mano per la dignità con la quale hai gestito la tua notorietà e la tua immagine pubblica.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design