C’è un giudice a New York. Si chiama Ann M. Donnelly ed è il giudice federale che ha disinnescato, almeno per ora, il “Muslim Ban”, il provvedimento con cui Donald Trump ha alzato uno dei suoi muri contro gli immigrati da sette paesi islamici (Siria, Libia, Iraq, Yemen, Somalia, Sudan e Iran). Nessun problema per chi entra invece dall’Arabia Saudita o dall’Egitto o dalla Turchia. E un occhio di riguardo, sempre nelle intenzioni di Trump, per i rifugiati cristiani provenienti da paesi a maggioranza islamica.
Il giudice Donnelly, rispondendo a un ricorso presentato da ACLU, un’Associazione per i diritti civili, ha ritenuto che i cittadini stranieri rifugiati già in possesso delle necessarie autorizzazioni, hanno il diritto di non essere rispediti indietro. In Italia diremmo che si è opposta ai respingimenti con una sospensione cautelare del provvedimento di Trump, ritenendo imminente il pericolo di danni per le persone respinte.
Nel frattempo la Corte Suprema o chi per lei dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità del Muslim Ban, ma la decisione del giudice è già un segnale forte e un assaggio del clima che va creandosi negli USA post-Obama, e non solo lì. Altri giudici nel frattempo hanno adottato provvedimenti analoghi, neutralizzando in parte il decisionismo muscolare di Trump.
Ci aspettano tempi duri, io credo.
Vivere in democrazia non rende automaticamente democratici, così come vivere sotto una dittatura non rende automaticamente aguzzini. Ma c’è qualcosa di più profondo, che alligna nelle persone e non tiene conto della loro religione, della loro storia o del contesto in cui vivono. È quel seme che ci fa trovare attuali i classici della letteratura e ci fa riconoscere come universali ed eterni, principi espressi qui e oggi, in gesti puntuali come l’ordinanza di un giudice federale.
È proprio della democrazia lasciare aperta la porta al suo contrario. È un paradosso insanabile, se vogliamo, che nessun sistema può eliminare completamente. Si tratta, per chi in democrazia vuol continuare a vivere, di coltivare quei semi, di farli circolare, di non stancarsi.
Non è un’impresa impossibile, anche perché i fascismi si somigliano un po’ tutti, e la prima cosa che tentano di mettere in discussione, sono proprio quei semi.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
Per partito preso. (di Giampaolo Cassitta).
31 luglio 1979, in mezzo al mare nasce Andrea (di Francesco Giorgioni)
Temo le balle più dei cannoni (di Cosimo Filigheddu)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Elisa o il duo Mamhood &Blanco? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.922 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design