Una notte di poco meno di vent’anni fa, non ricordo la data esatta, una fonte mi avvisò che un uomo ferito da una pallottola era stato scaricato da un’auto in uno spiazzo vicino al pronto soccorso. Mentre correvo con un collega verso l’ospedale, squillarono i cellulari e ci arrivarono, insieme, altre due notizie: che l’uomo era morto senza riprendere conoscenza e che in un distributore di benzina c’era stato poco prima un tentativo di rapina durante il quale il gestore aveva sparato. Facile pensare che il ferito fosse uno dei banditi abbandonato dai complici il più vicino possibile all’ospedale. Quella notte mi torna in mente alla notizia che in Lombardia il gestore di un bar tabacchi ha vissuto una simile disavventura. E mi auguro che anche per lui si possa accertare senza ombra di dubbi la legittima difesa, come era accaduto per il benzinaio. Ma ora ricordo quel fatto sardo per le reazioni che suscitò. Era un periodo di forte recrudescenza della criminalità, c’era una preoccupazione diffusa e il fatto che il gestore del distributore fosse armato ne era sintomo. Ma al mio giornale non arrivò una sola lettera, una telefonata, un commento di qualsiasi tipo sul fatto che avesse fatto bene o male o sparare. La mia gente, la gente di Sardegna, angustiata dai banditi non certo meno di quella della Lombardia, accolse quella notizia con cupa e razionale freddezza, come triste corollario di un atto di criminale violenza qual è una rapina. C’era molta solidarietà umana nei confronti del benzinaio, ma nessuno si sognò di farne un eroe o un esempio. E nessuno espresse rabbia più o meno strumentale o incitò a cambiare le leggi quando la magistratura doverosamente aprì una procedura per accertare eventuali responsabilità. Quando si seppe che il benzinaio era stato dichiarato assolutamente innocente, non ci furono manifestazioni di giubilo, ma solo tanto dolore e comprensione per quanto gli era accaduto e per ciò che era stato costretto a fare. Ricordo bene le sue parole e la sua faccia, quella notte. Un’espressione forte e insieme angosciata, il viso di un uomo coraggioso che era stato aggredito e nel difendersi, per fatalità, aveva ucciso. E ricordo anche la delicatezza unita a grande rigore con cui quella notte il magistrato e i carabinieri svolsero le loro indagini. Ora non faccio riferimento specifico al caso lombardo di questi giorni, ma in generale agli umori che da quelle parti vengono a galla quando accadono simili disgrazie e a come salti fuori gente che le cavalca. Credo invece che se da noi in quei giorni si fosse presentato qualcuno ad agitare quel dramma per fini politici, sarebbe stato trattato come un cane in chiesa. Abbiamo tanti difetti, noi sardi. Ma sappiamo in linea di massima dove risiedono le ragioni e i torti e che cosa significhi strumentalizzare qualsiasi forma di violenza. Purtroppo ce ne intendiamo, di violenza. E in queste faccende è un po’ difficile prenderci per il culo.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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