E allora mi chiedo dove siano questi razzisti dopo la giornata e il pezzo di notte che ho trascorso ieri tra la mia gente, nel centro vecchio di Sassari, con una splendida conclusione davanti a una birra ghiacciata in piazza Tola. Eppure ci sono, lo so. Io non posso dire che non ci sono soltanto perché ieri non ne ho visto neppure uno. Io non conosco personalmente, almeno credo, neppure un pedofilo o un boss mafioso. Eppure so che esistono, non posso negarlo. Non ho mai parlato con Trump ma non per questo scarto l’ipotesi che stia portando l’intero mondo alla rovina. O che di questa rovina sia uno degli aspetti. Quindi i razzisti ci sono, ci devono essere. Anche in Sardegna. Anche a Sassari. Perché le bombe o gli incendi appiccati ai centri per immigrati non sono balle. Le infamità rese su Facebook in un italiano approssimativo da questi guardiani della nostra italianità le ho tutti i giorni sotto gli occhi. Poi faccio anche le mie distinzioni. Per la maggior parte sono disgraziati che hanno bisogno di uno sfogatoio per le loro disgrazie. E un po’ li compatisco e un po’ li temo, come farei con un teppista che butta nella violenza la sua esistenza disperata: tutta la mia comprensione, ma cerco di evitarlo. I pochi altri, quelli che questa disperazione la sfruttano e la alimentano per guadagnarsi cinque anni di lauto stipendio (pagato da noi) e relativa pensione come rappresentanti del popolo, ecco quelli mi stanno proprio sui coglioni. Nel mio intimo li considero dei farabutti, gentaglia moralmente equiparabile ai ladri dei quali si riempiono la bocca in queste loro prediche studiate per fottere una folla di disperati sempre più impoveriti dalla dittatura della finanza. Tanto disperati da affidare alla stessa finanza il comando politico e la speranza di un riscatto dalla loro condizione. Come avviene non soltanto in America. Però ieri – nel mio mondo piccolo chiuso tra Porta Sant’Antonio e piazza Castello, tra Porta Utzeri e Porta Macello – mi chiedevo: ma dove sono questi razzisti? Ero a San Donato, che è uno dei cuori di quei quartieri. Con Tore Sanna dovevamo parlare di Trapadè chiamati dal circolo La Lucciola, un’istituzione. Trapadè è una maschera sassarese. Come Pulcinella a Napoli. Solo che lui è esistito davvero. Era un eroe della prima guerra, rovinato a un braccio dal piombo nemico. Quando è tornato a Sassari non riusciva più a fare il fabbro. Disperato, ha preso a bere ed è morto in ospizio, dopo una vita trascorsa con la patente di arguta e temibile macchietta, vittima del dileggio al quale si opponeva feroce e beffardo mettendo a nudo le vergogne dei dileggiatori. Tore ne ha ricostruito la vita e ora va in giro a parlarne, talvolta chiamandomi ad accompagnarlo. Era razzismo, pure quello? Direi di no. Era alle volte cattiveria pura, ma quasi sempre era “cionfra”, una categoria peculiare della cultura popolare sassarese molto difficile da fare capire in poche parole a chi non è di Sassari, mentre è inutile con chi è di Sassari. Per intenderci, una faccenda vagamente simile alla beffa toscana, della quale forse è erede per via della dominazione pisana. Il razzismo è diverso. Il razzismo presuppone ignoranza, paura del diverso e la creazione di un immaginario colpevole dei propri mali. Ma ieri, in un centro storico zeppo di immigrati extracomunitari, mi chiedevo: dove sono i razzisti? Il primo approccio lo ho avuto in via Lamarmora, dove un nero di due metri stava sistemando uno stenditoio in piena facciata, tra le porte di due case al pianterreno – antichi sottani poveramente ristrutturati -, insieme a un sassarese mingherlino in canottiera rossa. Sono passato mentre scalpellavano per murare le gaffe di ferro alle quali agganciare il filo da stendere e ho chiesto ridendo al tipetto in canottiera -Ma inoghi li guardhi si n’affutini? – alludendo alla palese violazione dei regolamenti di polizia locale. -E-tandu-affutidinni-puru-tu – mi ha risposto il nero, chiedendo conto con un’occhiata al suo amico bianco della correttezza lessicale e di pronuncia della frase appena compitata. -E’ ancora imparendi – mi ha spiegato il sassarese scuotendo severo la testa verso l’altro e aggiungendo -Biadu e te chi no debi farazzi a Pratamona pa abbrunzati. E giù a ridere tutti e due insieme alle due mogli, la nera e la bianca, che assistevano ai lavori discutendo l’altezza delle gaffe per lo stenditoio comune tra le loro due case. E la sassarese mi ha spiegato indicando la valchiria bruna -E chisthi so mannitti e li gaffi li punaristhiani puru in la cabirthuria. Poi, alla valchiria che rideva illuminando con lo splendore dei suoi denti bianchissimi il vecchio arco di Corte Larga -Noi semmu basciuttini! A lu voi cumprindì? E me ne sono sceso verso La Lucciola, a parlare di Trapadè, con il cuore leggero leggero, felice della mia città e chiedendomi -Ma dove cazzo sono questi razzisti di cui si parla tanto? E sospingevo giù la risposta che ogni tanto tentava di risalirmi dallo stomaco perché ero così contento che non avevo nessuna voglia di vomitare la verità, ieri sera.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design