Mario Alberto Dettori era un maresciallo dell’Aeronautica militare nato a Pattada nel 1948. Venne trovato impiccato ad un albero il 31 marzo del 1987, sulla sponda di un fiume, in Toscana. Ufficialmente fu un suicidio. La sera del 27 giugno 1980 Dettori risultava essere in servizio presso la base di Poggio Ballone, in provincia di Grosseto, dotata di un radar capace di monitorare il traffico aereo su quasi tutto il Mar Mediterraneo. Quella stessa sera, un Dc9 dell’Itavia precipitò nei pressi dell’isola di Ustica e 81 persone persero la vita. Probabilmente il maresciallo di Pattada sapeva com’erano andate le cose sui cieli di Ustica: ne parlò con alcuni colleghi e ad uno di loro disse “lo abbiamo tirato giù noi”, mentre a casa i suoi familiari racconteranno di un uomo terrorizzato, scosso, diventato improvvisamente sospettoso. Sia di fatto che il nome di Mario Alberto Dettori ha iniziato ad essere collegato al disastro di Ustica solo dal momento di quel suicidio anomalo (anomalo non perché lo dico io, ma perché questo verbalizzò la Polizia scientifica): una delle tante disgrazie capitate a persone coinvolte a vario titolo nel caso e che, per la loro posizione, avrebbero potuto dare un contributo importante nella ricerca della verità. Nel film “Ustica” di Renzo Martinelli, mandato in onda da Sky, Dettori appare ormai con le gambe penzoloni, non appena compiuto l’estremo gesto, rappresentato come ulteriore sacrificio alla Ragion di Stato che nega la verità. Il film – la verità si dica – è stato stroncato da critiche feroci che ne hanno evidenziato le forti incongruenze storiche, ma i dubbi sulla morte di Dettori restano tutti. Anche tra i familiari, convinti che il loro congiunto sia stato eliminato. Il disastro di Ustica inizialmente venne imputato alle negligenze della compagnia Itavia, poi fatta fallire, accreditando l’ipotesi di un inesistente cedimento strutturale sull’aereo. Ma il ritrovamento del relitto di un Mig libico in un luogo isolato sui monti della Sila, 20 giorni dopo, aprì uno scenario ben diverso e mai del tutto chiarito. Quel Mig, che attraversava i cieli italiani in coda al Dc9 Itavia per non essere visto dai radar, venne intercettato da caccia Italiani (pilotati dagli ufficiali Ivo Nutarelli e Mario Naldini, poi periti nel 1988 nel disastro della Frecce Tricolori a Ramstein) e in breve inseguito da aerei francesi partiti dalla base corsa di Solenzara e americani, decollati dall’aeroporto militare di Decimomannu. Come poi siano andate le cose nessuno lo sa, 36 anni dopo. Forse lo sapeva Dettori: confidò alla moglie che era scoppiato “un casino” e che si era sfiorata la guerra, mentre quel “lo abbiamo tirato giù noi” rivelato ad un collega lasciava intendere che forse erano stati proprio gli aerei italiani a colpire il Dc9 per errore. Ma Dettori è morto. Forse suicida, forse ucciso. Che fosse un uomo scomodo da eliminare o semplicemente depresso al punto da voler morire, era certamente finito in una storia molto più grande di lui. Mi sembra sia giusto ricordarlo, nella speranza mai abbandonata di conoscere la verità su questa pagina nera della nostra storia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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