Tempo fa ho avuto bisogno di accompagnare al Pronto Soccorso, in piena notte, una persona a me cara. Il Pronto Soccorso di La Maddalena è un piccolo, prezioso presidio della Sanità pubblica. Il personale fa del suo meglio, lo fa alla grande ma non può fare miracoli. Mentre le cose per il paziente si mettevano per il meglio, mi guardavo intorno e pensavo: “E se fosse andata diversamente? Se avessimo dovuto volare a Sassari? Se i traghetti non avessero viaggiato? Se l’elicottero non fosse arrivato?…” e via di seguito con domande che ogni isolano si fa normalmente e a cui, per vivere tranquilli, ogni tanto ci facciamo sordi.
I recenti tagli alla Sanità dei piccoli centri sardi, spesso giustificati in nome di una sicurezza a cui non ha creduto nessuno e che tutti abbiamo preso per banali tagli alla spesa, hanno rafforzato in molti la sensazione di essere periferia.
Chi vive lontano dai centri che contano, geografici, politici, economici o culturali, non è stupido. Sappiamo bene e capiamo che il modello “qualcosacentrico” (per me può essere Washington, Bruxelles, Roma, Cagliari, Sassari, Olbia, ma ognuno ha la sua sequenza) esiste da secoli ed ha le sue ragioni nell’esistenza di un territorio. Tuttavia accade che, stando in periferia, si abbia la sensazione che sul “qualcosacentrismo” molti si siedano e, per pigrizia mentale o calcolo egoistico, chiedano alle periferie più sacrifici di quelli che esse sono in grado di sopportare. Fino a che la scusa che “funziona così” non è più sufficiente a conservare la fiducia di chi si sente tagliato fuori.
Il discorso si presta a slittamenti interessanti: ci si può sentire periferia rispetto a un territorio, a un partito, al mondo del lavoro, al Welfare, alla burocrazia, al pensiero dominante. A ognuno può capitare di essere il centro di qualcuno e la periferia di qualcun altro. Ma credo che la perdita della periferia da parte del centro sia un fenomeno a senso unico. Nessuno smette mai di guardare al centro ma tutti, prima o poi, smettono di guardare alla periferia. Il sistema inizia a sussultare, a bollire, a fare “cric”, ma stando al centro questi “cric” arrivano ovattati, oppure non arrivano, o si fa in tempo a interpretarli in qualche modo più rassicurante.
Probabilmente fa tutto parte di processi adattativi più ampi e, proprio perché coinvolti, non riusciamo a vederli. Probabilmente è solo la Società che si struttura e si ristruttura in cerca di nuovi equilibri per sopravvivere. Forse è solo evoluzione. Fatto sta che a un certo punto il sistema fa “crac” e le periferie irrompono al centro lasciando tutti spiazzati. Non sempre, ma capita. I migranti sono un buon esempio di periferia che frana addosso al centro.
Mentre pensavo ai parametri vitali che non si stabilizzavano, al traghetto che non parte, all’elicottero che non viaggia, all’assegno di disoccupazione che tarda, alla rateizzazione di Equitalia che non viene concessa, al tribunale in cui piove dentro, alla scuola che non viene restaurata, al Sindaco che non viene ricevuto, al barcone che affonda e all’altro appena partito che farà comunque di tutto per arrivare, mi sono chiesto se dal centro queste cose proprio non si vedano o se si preferisca in fondo aspettare che i Tartari arrivino, sperando che un altro tipo di finale arrivi prima di loro a chiudere i giochi, o a chiuderci gli occhi.
Ovviamente sono solo domande a cui non ho risposta. Una volta mi era sembrato di trovare qualcosa nel Messaggio dell’Imperatore di Kafka, o nelle Città Invisibili di Calvino, non ricordo.
Per fortuna ricordo dove ho messo i libri.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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