Per chi non lo avesse capito, l’ultimo post pubblicato su Facebook dal sottosegretario alla Cultura è una risposta a Sardegnablogger. Per essere più precisi a questa segnalazione/riflessione, risalente al 6 ottobre: https://www.sardegnablogger.it/?p=91
Qualcuno potrà anche essere annoiato da questo continuo batti e ribatti tra noi e la sottosegretaria, ma non possiamo fare a meno di tornare sulla polemica. Non per fatto personale – formula usata dai politici come lei in pubbliche assemblee, quando si sentono toccati – ma per ristabilire la verità dei fatti, stravolti dall’intervento sul social della titolare di una così prestigiosa carica governativa.
Credo, oltretutto, vada rimarcata l’esigenza di ristabilire i ruoli ed un rapporto civile nelle relazioni tra pubblica opinione e i rappresentanti delle Istituzioni. Specie quelli convinti che tutto ciò che non sia applauso o incondizionata approvazione del loro operato vada classificato come “insulto”. “Insulto”: ricordatevi bene questa parola, perché la troverete nelle righe seguenti.
L’ex sindaco di Sorgono non cita mai Sardegnablogger, secondo un costume tipico di molti politici e sintomatico del loro modo di confrontarsi col mondo: non giudicano neppure degni di essere nominati coloro che reputano abbondantemente al di sotto del loro rango, anche se è a queste infime entità che direttamente si rivolgono.
Ora, la sottosegretaria sostiene di provare “tenerezza” per quegli “individui” che, sfruttando il pretesto di uno “stupido” errore grammaticale, “occupano il loro tempo a scrivere (pseudo) analisi politiche su di me e sul Pd”. Aggiunge, l’ex consigliere regionale dei Ds e del Pd, che questo sforzo intellettuale servirebbe in realtà a camuffare “la solita raffica di insulti personali”. Finalmente chiude citando Satta, per ricordare che “alcuni stanno al mondo soltanto perché c’è posto”: evidentemente, tra le sue facoltà vi è anche quella di stabilire chi sia meritevole di esistere e chi no.
Oltreché di decidere quali commenti politici siano “pseudo” e quali autentici.
Però io ho deciso di tornare sulla faccenda per il ricorso al sostantivo “insulti”, utilizzato in modo improprio almeno quanto la citazione del Satta.
Ho dedicato l’incipit del mio post del 6 ottobre ad uno strafalcione dell’ex europarlamentare, che in un suo commento accusava Soru con queste testuali parole: “A fatto i peggiori accordi di potere”.
Manca una H. L’ho segnalato ma anche precisato che la mia riflessione voleva andare ben oltre il banale refuso: in fondo può succedere a tutti, anche se un simile infortunio diventa inevitabilmente notizia se capita al sottosegretario alla Cultura.
In realtà la mia analisi approfondiva un post precedente della subordinata del ministro Franceschini, quello in cui liquidava in due battute la perdita di 400 mila iscritti registrata dal Partito Democratico, ritenendolo in definitiva un fatto non particolarmente significativo.
Ecco, il mio post parlava di semplificazioni e di una pericolosa tendenza a banalizzare: in questo sta la relazione tra forma e contenuti. Perché la faciloneria di certe sbrigative conclusioni – chi se ne frega di 400 mila tessere in meno? – è perfettamente coerente con la forma zoppicante, con certi vistosi errori grammaticali strettamente connessi a pensieri poco meditati.
Poco tempo per riflettere e capire dove si voglia andare, ancora meno per inutili e dispendiose discussioni, tante energie per neutralizzare un dissenso che, in questa cultura politica, ormai è sinonimo di perdita di tempo. Alla signora fanno tenerezza quelli che “occupano il loro tempo a scrivere analisi politiche”. Trovo rivelatrice questa espressione: come se scrivere fosse un riempitivo, un espediente per non restare con le mani in mano, la partita a carte di un perdigiorno.
Partendo da quei post, la mia voleva essere una riflessione generale sulla catastrofe antropologica di un certo Pd. Un partito affascinato dal decisionismo e diffidente verso la parola, un partito che prende a modello il blog di Gianni Morandi perché contiene solo messaggi positivi ed esclude la critica.
Ho cercato di dire questo, ma di insulti non ce n’erano: sono stato bene attento ad evitare che se ne potesse anche solo intravedere qualcuno, per non dare appigli ai troppi che non non vedono l’ora di buttarla sulla rissa.
Non c’erano allusioni all’inchiesta sui rimborsi dei gruppi consiliari, nessuna insinuazione su eventuali retroscena della designazione a sottosegretario.
Era solo un’analisi politica. Senza concessioni, dura, ma pur sempre un’analisi, interamente svolta sul terreno della politica.
Parlare di politica senza sconti ha lo stesso significato offensivo di “una raffica di insulti”?
Badate che non è una domanda retorica. Io me lo sto chiedendo seriamente.
“Alcuni stanno al mondo soltanto perché c’è posto”, conclude il sottosegretario: l’esistenza di chi non sottoscrive ogni sua affermazione sarebbe dunque inutile, destinata a non lasciar traccia.
Io credo, invece, che quelli come noi il loro posto al mondo lo abbiamo per una ragione precisa. Finché ci saranno anche quelle come lei, noi di Sardegnablogger troveremo sempre il modo di occupare e condividere il nostro tempo per riunirci, discutere, confrontarci e persino per scrivere.
Per questo a lei e a quelli come lei saremo sempre eternamente grati, signor sottosegretario.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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