Alla luce degli sviluppi dell’inchiesta sull’IGEA, (http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/senza-stipendio-in-fondo-alla-miniera-assunte-tutte-per-voto-di-scambio-2052455/) pubblico nuovamente un fortunato articolo di due anni fa, scritto per metà da Emiliano Deiana.
Cosa c’entrano i minatori con la lingua e la cultura della Sardegna?
Leggetevi il magnfico intervento di Emiliano Deiana su FB:
“siamo tutti minatori” e la retorica del potere [E] (http://emilianodeiana74.blogspot.com/)
” L’anno scorso era l’anno del “siamo tutti pastori”.
La fine del 2012 si annuncia come l’anno del “siamo tutti minatori”. Basterebbe certificare che la condizione del mondo agro-pastorale è la medesima di sempre e, senza essere nè voler essere particolarmente profetici, la condizione dell’impresa mineraria sarà quella che si trascina da vent’anni per dire che non mi iscrivo a queste banalità.
Nonostante il Presidente e i ventriloqui locali del Quirinale.
Sono stati vent’anni nei quali un’intera classe politica, lo dico senza avere nessuna tendenza grillesca – di destra, di centro, di sinistra e sindacale – ha costruito le proprie fortune e i propri soggiorni nelle stanze del potere.
Il dato, prima ancora che le considerazioni sui minatori e sulle miniere, è questo.
Sulle disperazioni riconosciute e riconoscibili si sono costruite carriere inossidabili e posizioni inattaccabili all’interno di un complesso – ma anche facilissimo da ri-conoscere – sistema di sospensione democratica.
Perchè sapete, non è credibile che chi da venti e più anni fa analisi, gestisce situazioni, tratta coi governi nazionali e gestisce quelli regionali e locali non l’abbia saputo riconoscere l’assurdo che si è costruito in Sardegna in questi decenni.
Questa roba della Carbosulcis, a conoscerla, diventa il paradigma del sottosviluppo della Sardegna.
La semplifico di molto perchè in rete trovate dati, considerazioni e ricerche.
La Regione detiene il 100% della Carbosulcis. Dal 1996 ad oggi ha speso – abbiamo speso – circa 600 milioni di euro per mantenere in vita un’azienda che nel 2011 ha avuto una perdita di 25/26 milioni di euro. La Regione aveva stanziato 35 milioni, dalla vendita del carbone se ne sono introitati 9 milioni soltanto.
Ma a chi si vende questo carbone? Alla centrale Enel di Portovesme che però funziona al 30% della propria capacità produttiva.
Ma il carbone prodotto a Nuraxi Figus ha caratteristiche così mirabolanti da essere preferito a tutti gli altri tipi di carbone? Affatto. Il carbone prodotto nel Sulcis ha un contenuto di zolfo di molto superiore alla media (6,5% rispetto alla media dello 0,5%). Cosa significa? Che il carbone sulcitano va miscelato con altri tipi di carbone per evitare fenomeni di autocombustione. Il carbone del Sulcis non solo è qualitativamente peggiore ma costa pure di più.
Basterebbe questo per definire l’avventura carbonifera regionale fallimentare e fa specie che la pubblica opinione – scarsamente informata da una stampa in servizio soporifero permanente – queste cose le ignori.
Basterebbe se non fossimo in Sardegna. Ma in Sardegna, siamo.
Ed allora, certificato questo fallimento, si vorrebbero investire 1,6 miliardi di euro TREMILA-MILIARDI-DI-LIRE di soldi pubblici per realizzare – non si sa da chi nè come – una nuova tecnologia che consenta di utilizzare il carbone prodotto a Nuraxi Figus, Texas.
Se avessimo una classe politica degna di questo nome si direbbe: scusate, abbiamo sbagliato, ce ne stiamo andando a casa tutti, perdonateci se potete.
Chi fosse restato – ma siamo nell’ambito puro dell’irrealizzabilità – avrebbe avuto l’onere, dettato dall’onestà intellettuale, di dire che in sardegna carbone non se ne estrarrà mai più. Ed avrebbe l’onere, certo più esaltante, di immaginare e realizzare un futuro diverso per quei lavoratori.
Intervento pubblico per intervento pubblico preferirei – restando nel terreno minato dell’emergenza – che quei lavoratori e quei 35 milioni di euro annui di soldi pubblici se ne andassero a pulire tutte le cunette della Sardegna.
Per fare un esempio molto banale.
O a piantare alberi o realizzare fasce antincendio e parafuoco. Almeno i risultati sarebbero pubblici.
Adesso, non è il momento della proposta, ma della conoscenza e della protesta.
Perchè dire queste semplici ragioni di verità significa davvero stare di fianco a quei minatori, ma non un affiancamento di maniera, alla Napolitano. Ma una vicinanza che serve la verità ed impone alla politica di immaginare e realizzare un diverso metodo di sviluppo.
Perchè sapete – a meno che non mi sia sfuggita la cosa – non è perchè estraiamo minerale sulcitano e lo bruciamo in Sardegna la nostra bolletta è più leggera e non, invece, il solito salasso bimestrale.
Perchè se ci fosse un vantaggio “pubblico” forse ci avremmo potuto pensare.
Invece la bolletta, per ritardi decennali e imposizioni neocoloniali, la paghiamo il 30/40% più salata rispetto al Continente.
E qui si innesta l’ultima considerazione non certo tecnico-tattica, ma politica.
La vicenda delle miniere – non dei minatori ai quali dedicherò la conclusione – si innesta in una politica di sostanziale sottosviluppo della Sardegna. Una politica – locale e nazionale – che ha ritagliato per la nostra terra il posto per il saccheggio nazionale. Di risorse pubbliche, di beni pubblici, di proprietà pubbliche.
E questo saccheggio ha determinato il permanere in una condizione di sostanziale sottosviluppo della nostra isola.
Il paradigma “sociale” del sottosviluppo è dato, senza dubbio, dalla condizione dei trasporti in Sardegna.
Perchè ogni sardo, prima o poi, per una malattia, un lutto, una carcerazione di un parente o la mai arrestata migrazione una nave la prende. E viaggiare nei carri bestiame, a tariffe folli, dei potentati marittimi racconta più e meglio della miniera la condizione di sottosviluppo della nostra terra.
La mia paura e non ho nessuna paura ad esplicitarla è la seguente.
I trentacinque milioni diventeranno, dopo estenuanti trattative e commistioni fra politica e sindacato, quaranta o cinquanta per certificare un fallimento che solo i ciechi non possono vedere.
Il carbone ad alto contenuto di zolfo si continuerò ad estrarlo per qualche anno ancora di modo che ai prossimi appuntamenti elettorali quei lavoratori disperati saranno merce di scambio della politica, voti da riconsegnare al potente di turno che nulla ha fatto per risolvere il problema, ma di tutto fa per mantenere vivo il bubbone.
Per il lavoro non si venda la dignità e la libertà. La lotta deve essere per un cambio di strategia nelle politiche pubbliche nel Sulcis. Politiche che mettano davvero al centro il lavoratore e non l’elettore che è dentro ogni minatore.
Perchè la storia di questa terra è la storia di un’immensa commistione fra detentori di poteri pubblici e sudditi ed è, purtroppo, la storia di una politica senza idee, di una società civile inesistente, di un sindacato che si accontenta di mangiare dal trugolo.
Poi ci sono loro, dentro i pozzi.
E spero con tutta la forza che ho che riescano a maturare una coscienza collettiva che li allontani dai predatori di oggi e di domani.
Che poi sono gli stessi di ieri. “
I minatori di Nuraxi Figus stanno conducendo una lotta che non è soltanto persa in partenza, ma anche e soprattutto sbagliata.
Sbagliatissima negli obiettivi e ancora più sbagliata nei modi.
I minatori di Nuraxi Figus ci stanno ricattando emotivamente: hanno centinaia di chili di esplosivo con sé e dicono “Est s’ora de sa bruvura!”
Ieri un sindacalista della UIL si è tagliato un polso davanti alle telecamere (Il gesto estremo del sindacalista: si taglia il polso per protestare contro l’ipotesi di uno stop all’attività di Elvira Serra).
Non si capisce bene da dove provenga tutto questo interesse, ma i minatori (o chi per loro) sono riusciti a mobilitare l’interesse dei media internazionali: ho visto un servizio perfino su CNN e francamente non riesco a credere che agli Americani gliene importi qualcosa di 400 minatori sardi.
Sono riusciti a incassare perfino la solidarietà generica e ipocrita di Napolitano e, a quanto sembra, sono riusciti a ottenere il rinvio di una sentenza comunque inevitabile: Sulcis, governo: «Chiusura? Forse no» Napolitano: sono vicino ai minatori
“DECIDE LA SARDEGNA – De Vincenti ha precisato che tocca alla Regione, proprietaria al 100% della Carbosulcis, deciderne la chiusura, ma che per il governo Monti «sono possibili soluzioni alternative. Ci aspettiamo che la Regione venga con una proposta più realistica. È la Regione che deve chiarire».”
Quale può essere la proposta più realistica per l’utilizzo di un carbone, anzi LIGNITE, di pessima qualità (“Zolfo con un basso tenore di carbonio” lo definivano quando io studiavo all’ITI per periti chimici di Cagliari).
La proposta attuale è di investire oltre un milione di euro per ognuno dei 1500 posti di lavoro che si creerebbero.
Investimenti che dovrebbero effettuare la RAS e il Governo italiano.
Soldi nostri.
Cosa direste se io andassi in Piazza Sella, a Iglesias, e mi puntassi una pistola alla tempia, urlando che se non mi date un milione di euro mi sparo?
Ma come? Non mi dareste il milione e chiamereste l’ambulanza?
E Napolitano mi darebbe la sua solidarietà?
E la CNN verrebbe a filmarmi?
In ogni caso sono sicuro che Mauretto Pili non verrebbe a farsi fotografare con me: lo sanno tutti che io non voterei mai per lui!
I minatori di Nuraxi Figus vogliono che noi paghiamo un miliardo e mezzo di euro per garantire loro il posto di lavoro.
I minatori di Nuraxi Figus sono dipendenti dall’assistenzialismo e vanno curati, come dovrei essere curato io se andassi in Piazza Sella, con la pistola alla tempia, e pretendessi un milione di euro.
I minatori di Nuraxi Figus non vogliono e non sanno uscire dalla logica suicida–ma anche criminale–che ha portato al disastro che vediamo oggi in Sardegna: effettuare investimenti enormi in settori non concorrenziali e fondamentalmente estranei alla cultura e al territorio della Sardegna–rubando e sperperando risorse che porterebbero allo sviluppo di altri settori–in cambio di poche centinaia di posti di lavoro.
Posti di lavoro–io sono di Iglesias–distribuiti in modo clientelare.
I minatori di Nuraxi Figus esigono che risorse economiche fondamentali vengano dirottate da quei settori (turismo intelligente, agricoltura di qualità, trasporti) che hanno un futuro e garantirebbero un numero molto più alto di posti di lavoro.
Paradossalmente, sarebbe più conveniente regalare quel miliardo e mezzo agli abitanti del Sulcis, ma con l’obbligo di spenderlo in loco.
Se dovesse andare avanti il progetto della gassificazione della LIGNITE e di stoccaggio sotterraneo della CO2, la maggior parte di quel mare di quattrini finirebbe alle imprese NON SARDE che realizzerebbero gli impianti.
Ammesso che qualcuno voglia vivere sopra un serbatoio di CO2, necessariamente, ad alta pressione: chi conosce il Sulcis sa benissimo che dal punto di vista ambientale lì, tutto quello che poteva andare storto è andato storto. E sullo stoccaggio della CO2, leggetevi quest’articolo: l gemello malefico del fracking. Cosa ruota attorno alla miniera di Nuraxi Figus | Blogeko.it
I soldi finirebbero immediatamente fuori dalla Sardegna.
Al Sulcis rimarrebbero 1.500 posti di lavoro pagati un milione di euro l’uno con soldi sottratti ad altri investimenti più vantaggiosi e che mai, comunque, potrebbero essere garantiti, visto che il mondo va nella direzione di eliminare i combustibili fossili e che il carbone del Sulcis rimane una LIGNITE di scarso pregio e perfino più cara dell’ANTRACITE cinese.
Cosa c’entrano la lingua e la cultura?
I minatori di Nuraxi Figus stanno dimostrando per intero la loro incapacità culturale di concepire uno “sviluppo” differente da quello che il colonialismo italiano ha imposto alla zona: sfruttamento coloniale delle risorse e successivo abbandono della zona, lasciando agli indigeni il disastro sociale e ambientale.
Ragionano completamente all’interno delle logiche colonialiste e non riescono a concepire uno sviluppo della Sardegna basato sulle risorse umane, ambientali e culturali già esistenti.
E come potrebbero, visto che la scuola, i media e i politici non fanno altro che insegnare il disprezzo per tutto ciò che è sardo?
Lo “sviluppo” è solo quello che viene da “fuori”. Lo “sviluppo” è solo quello dell’industria pesante, finanziata con i soldi dei contribuenti.
Lo “sviluppo” che produce sottosviluppo: nell’immediato sottraendo risorse preziosissime ad altri settori e nel lungo termine distruggendo l’ambiente naturale e sociale.
Quanti abitanti di Portoscuso lavorano nelle industrie dell’alluminio e a Nuraxi Figus?
E quanti abitanti di Portoscuso lavorerebbero nel turismo se la presenza di quelle industrie non avesse distrutto il suo grande potenziale nel settore?
Siete mai stati a Portoscuso quando lo scirocco porta sul paese i fumi della LIGNITE bruciata nella centrale di Portovesme?
I minatori disperati di Nuraxi Figus sono appunto il sintomo del disastro sociale in cui le miniere e le industrie slegate dal territorio hanno lasciato il Sulcis.
I minatori disperati di Nuraxi Figus vanno aiutati ad accettare la realtà, non sostenuti nella loro lotta folle per continuare in un’attività non sostenibile.
Oltretutto, a chi servirebbe l’elettricità prodotta con la LIGNITE?
La Sardegna, con l’eolico e con il fotovoltaico ne produce già più di quella che le occorre.
Dovremmo sborsare un miliardo e mezzo di euro per produrre energia per gli altri?
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