Quelle poche strofe che cantiamo a squarciagola e con orgoglio patriottico furono presentate il 10 dicembre 1847 sul piazzale del Santuario di Nostra Signora di Loreto a Oregina. Goffredo Mameli le propose ai cittadini genovesi e ai vari patrioti italiani in occasione del centenario della cacciata degli austriaci. Goffredo aveva appena vent’anni e sarebbe morto giovanissimo, nel 1849, all’età di 22 anni. Morì in battaglia ucciso (è la versione più accreditata) per le ferite riportate a seguito di una fucilata di un soldato francese. La ferita alla gamba procurò una gangrena e l’infezione ne provocò la morte per setticemia. Goffredo non immaginava che il canto degli italiani sarebbe divenuto l’inno da sfoggiare in tutte le occasioni in cui viene rappresentata la Patria. Nello sport, nello spettacolo, nella politica, nei grandi avvenimenti. Abbiamo visto cantare i giocatori del pallone (stonati a dire il vero) e quelli della pallavolo; Benvenuti che vinse il titolo mondiale, Berruti, Mennea, Sara Simeoni; lo ha ascoltato con silenzio solenne Sandro Pertini; le sue note son squillate quando le salme dei soldati di Nassirya sono giunti a Ciampino. Quell’inno ci ha fatto ridere, piangere, sorridere. Qualcuno lo ha deriso, lo ha infangato, non lo ha riconosciuto come segno di unione e alcuni lo ritengono divisivo. Lui lo sapeva, eccome se lo sapeva. Infatti la seconda strofa, che nessuno canta, recita: “ perché non siam popolo, perché siam divisi”. La sua speranza, ovvio, è che quel canto riuscisse finalmente ad unirci. A volte ci riesce, ma sembra sempre per finta. E, sinceramente, a me un po’ dispiace perché è la poesia di un ragazzo di vent’anni con in tasca un futuro che non ebbe il tempo di andare a vedere.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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