La domanda è sempre la stessa: “perché guardi Sanremo?” Rispondo sempre che seguo il festival perché Sanremo, nella mia vita, c’è sempre stato. Sono cresciuto con lui, ho apprezzato lo spettacolo, i cantanti, le storie che si sono succedute su quel palco. Mi sono riconosciuto in molte parole, altre le ho dimenticate, molte non mi sono piaciute. Sanremo fa parte dell’habitus della mia esistenza. Appare sempre nello stesso periodo – febbraio – a volte piove, a volte annuncia la primavera e le canzoni rimangono appese per qualche giorno nella parete di quell’attimo di vita. Molti dicono che le melodie sanremesi non servono a nulla e non hanno niente a che vedere con le grandi canzoni, il grande rock, il grande pop, il grande jazz. Di grande, a Sanremo c’è solo la noia. Non è vero. Chi lo dice non ha mai ascoltato le canzoni fino in fondo, non ha provato neppure per un attimo ad inserirle nei tasselli della sua esistenza anche se – e anche questa è un’altra verità – tutti cantiamo Sanremo. C’è chi lo odia perché non c’è il suo artista del cuore, ma odierebbe il suo artista del cuore se dovesse per disgrazia parteciparvi. Io, per esempio, sono vicino – molto vicino – a De Gregori, Venditti, Guccini, Alberto Fortis, Franco Battiato, De André, tutta gente che sul palco dell’Ariston non c’è mai salita. Quindi, a detta di molti, non dovrei amare Sanremo. Ed invece, nonostante i miei cantanti preferiti su quel palco non ci salgono e probabilmente non ci saliranno mai, ho l’assoluta necessità di ascoltare ciò che è lontano da me. Per curiosità e per comprenderlo. Ho sempre pensato che applaudire o strapparsi le vesti ad un concerto di De Gregori – posto che qualcuno si sia davvero disposto a strapparsi le vesti – sia molto semplice se ami De Gregori. E’ un consenso innato, a prescindere. Come andare ad un comizio del partito per il quale hai già deciso di votare. Sentirai le canzoni che ami, i discorsi che condividi, ritornerai a casa convinto che il mondo, tutto il mondo la canta e la pensa come te. Chi ama De Gregori non può amare Gigi D’Alessio. O Pupo. Solo per citarne alcuni. Eppure, a ben vedere, qualche melodia passata per Sanremo anche quelli che amano De André e Guccini la conoscono eccome. Guardare il festival di Sanremo è navigare nel dissenso. E’ un esperimento rivoluzionario, che non tutti vogliono fare. Per me Sanremo è la contraddizione quotidiana, la possibilità di ascoltare canzoni che non acquisterò, sentire dei cantanti per i quali non spenderò dei soldi per andare ai loro concerti, ma è anche l’opportunità di capire quello che ruota intorno. Ivano Fossati, nella canzone “Una notte in Italia” sosteneva che in fondo è tutta musica leggera e la dobbiamo suonare/ascoltare e aveva ragione. Bennato affermava che sono solo canzonette e molti cantanti non si sono mai presi troppo sul serio. Sanremo è la vetrina di un pezzo d’Italia. Non è l’Italia. Ognuno di noi vorrebbe a Sanremo i propri beniamini, vorrebbe una scaletta musicale identica a quella che si è auto costruito con le play-list. Però ditemi una cosa, voi che sfottete quelli che guardano Sanremo: quante volte, nella vostra vita, in un amore, in un momento di condivisione con gli amici avete cantato a squarciagola un brano degli Afterhours o di Ivan della Mea e quante volte, invece, vi è scappato, anche per errore: “E ci sei… adesso tu”. Ecco, questo è Sanremo e questa è l’Italia, un giocattolo imperfetto che vale la pena di capire perché ancora continua a funzionare. Ed è per questo motivo che domani serà guarderò Sanremo e proverò a raccontarvelo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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