Pubblicato il 16/10/2014
Sottovoce, timidamente, qua è là, inizia a trapelare la cosa. I giganti di Monte Prama potrebbero riscrivere la storia. In questa nostra umile testata lo ripetiamo da un po’ e cerchiamo di fare chiarezza. Per Storia non si intende solo la storia sarda. Si intende la storia del Mediterraneo, dell’Europa, dell’Atlantico, insomma, la storia occidentale. Negli anni ’70 si inizia a scavare nel sito di Monti Prama. Emergono centinaia di reperti che vengono conservati in naftalina negli scantinati del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari per 40 anni. Una scoperta sensazionale, tenuta sottaciuta, quasi nascosta, nonostante le urla nel silenzio di alcuni volenterosi studiosi. Statue gigantesche, in pietra, precedenti di parecchi secoli le prime a tutto tondo del Mediterraneo. Si parla, accettando le ipotesi di datazione più lunghe, dell’epoca della bella età dei nuraghi, la stessa dei famigerati “shardana”, dunque oltre 3000 anni fa. Finalmente, alcuni anni fa, su impulso della Regione, queste statue vengono finalmente ricomposte ed emergono in tutta la loro forza e suggestione. Riprendono gli scavi tra mille polemiche e tensioni tra gli archeologi delle università sarde e il Ministero. Si aggiunge quindi un altro elemento ad una storia nuragica che è conosciuta non solo dagli studiosi che se ne sono occupati, ma anche a gente come Vere Gordon Childe, fondatore della moderna archeologia, o a Fernand Braudel, teorizzatore del più importante movimento storiografico moderno, quello degli Annales. Costoro si sono accorti subito, osservando una civiltà che è durata quasi due millenni (per fare un paragone, la civiltà Romana è durata 700 anni) e che, ancora oggi, caso unico al mondo, dopo 3000 anni, caratterizza il paesaggio sardo con oltre 8000 nuraghi e altre migliaia di monumenti, fino a rendere la Sardegna, verosimilmente, la regione del mondo con la più alta concentrazione di monumenti preistorici, che quella nuragica è stata una civiltà che ha rappresentato un passaggio fondamentale, un tassello mancante nella costruzione della storia. Non occorre essere degli specialisti di stratigrafia archeologica per capirlo. E’ una conseguenza della logica, del buon senso, e anche dell’onestà intellettuale e morale. La Sardegna antica, dunque, si pone come ponte di unione tra il megalitismo occidentale atlantico e gli influssi che, dall’Oriente, per il mare Egeo, raggiungevano quella che per l’epoca era la parte più remota del Mediterraneo. Ora, questo incontro di influssi così diversi ha reso l’isola, a partire dal secondo millennio AC, uno straordinario laboratorio culturale. E’ patrimonio comune consolidato, infatti, che vi è una continuità tra le culture neolitiche ed eneolitiche sarde e quella successiva nuragica, come sono note le analogie con la vasta area del megalitismo occidentale e le raffinate prerogative pre-classiche micenee ed egee in genere. Seguite il filo per favore: l’antica Roma, il fulcro costitutivo di tutta la cultura Occidentale, si sviluppa da due principali ceppi culturali, la civiltà Greca e quella Etrusca. Si ricorderanno, tra i sette Re di Roma, i Tarquinii. E sono ampiamente noti, al di là delle suggestioni genetiche e delle ipotesi linguistiche, gli influssi della civiltà nuragica su quella etrusca. Quindi, semplificando: la civiltà nuragica influenza la civiltà etrusca che influenza la civiltà romana che influenza tutto il mondo. Però nella storiografica classica questo percorso viene abortito. Tutto parte dall’Oriente, molto più semplice, staziona in Grecia con civiltà diverse per un po’ di millenni, poi ci sono gli l’alfabeti egiziano e fenicio, e infine tutto finisce a Roma con un accenno all’origine, naturalmente orientale, degli etruschi. Ecco, perciò, che quel filone storiografico tutto orientale, verrebbe in qualche modo alternato da un altro filone, che dai megaliti europei occidentali, quelli di Stonehenge per capirsi, di epoca neolitica, finiscono per riprodursi in Sardegna con una grande civiltà frutto di molteplici influssi e che poi, in epoca storica, influenza in maniera determinante le più antiche civiltà italiche, culla della diffusione di tutta la cultura occidentale. Questo dato, considerato nel suo complesso, stravolge quella visione statica della storiografia, che vede partire tutta la civiltà dall’Oriente per poi diffondersi a raggiera per l’Europa, grazie alla civiltà ellenica e alle conquiste romane. Ci sarebbe, insomma, da aprire una vera e proprio controstoria. Ho descritto nell’articolo “Se le statue di Monti Prama fossero made in China” le resistenze che una “controstoria” di questo genere può incontrare nell’establishment culturale ed accademico, scardinando tutto un sistema di sapere consolidato, se non addirittura incancrenito. Per non parlare delle resistenze di natura geopolitica, relative al rapporto con il potere centralizzato dello Stato e degli interessi economici di cui ho già parlato e continuerò a parlare insieme ai colleghi di Sardegnablogger. Tuttavia, per tornare alla domanda iniziale, tutto questo sistema incancrenito può essere scardinato da questa ultima scoperta? Io credo che vi sarà una forte reazione del “potere costituito”, mi si passi il termine. Credo che, dopo il tentativo di lasciare marcire tutto nell’indifferenza e nell’ignoranza, esso proverà ad appropriarsi della cosa per gestirla meglio. Ma qui entrano in gioco complessi meccanismi relativi al rapporto tra potere e comunicazione di massa, con il ruolo dei media, di internet, del clamore che può suscitare una notizia del genere. La storia nuragica camminerà a velocità diverse su canali preferenziali, restando reietta in molti centri di potere e in molte sacche di conservazione culturale. Il timore è quello che io definisco la “sindrome egizia”. Il mondo ha iniziato a considerare l’esistenza del più grande impero del Mediterraneo antico quando se n’è impadronito. Impadronito materialmente! Con migliaia di reperti egizi che oggi si trovano a Torino, a Londra, a Berlino, a Parigi, a New York. Allora l’interesse economico, che attirava i visitatori nei propri musei e alimentava carriere scientifiche negli atenei, ha fatto in modo che venisse considerata ed esaltata quella civiltà, altrimenti trascurata dalla storiografia classica. E il gigante di pietra differisce dal nuraghe per il suo straordinario valore economico. Non oso immaginare il valore che possano avere nel mercato clandestino quelle preziose statue di 3000 anni. E’ triste dirlo, ma per scrivere la storia occorre un interesse pratico, concreto. Insomma, per ragioni che non sono propriamente per il bene della scienza, i giganti di Monte Prama potrebbero far sognare collezionisti, musei, organizzatori di mostre itineranti, amanti dell’arte e della cultura; come si dice in gergo, il gigante “buca il video”, è telegenico e seducente, può creare notizie clamorose e clamore mediatico. Ecco perché Mont’e Prama può riscrivere la storia, finalmente, a prescindere dalle resistenze tentacolari che in questi anni hanno creato una cappa di ignavia sulla storia nuragica e sugli scantinati ove erano conservati i giganti. Sia chiaro, mi limito a ipotizzare questo fenomeno, tipico della nostra civiltà dell’immagine e dei consumi, senza dare giudizi morali. Ma spero che, prima o poi, venga restituita non solo alla Sardegna, ma anche alla Storia e alla Scienza, il messaggio dei giganti di pietra insieme alla forza dei nuraghi.
Avvertenza per il lettore: questo articolo, avente finalità divulgative, per brevità e fruibilità, è privo di quegli appesantimenti tipici della ricerca scientifica. E’ un estratto sintetico e semplificato delle idee che sto raccogliendo in una mia prossima pubblicazione, e segue metodi tipici dell’antropologia culturale ed in particolare dell’antropologia storica.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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