La spiaggia è, nell’immaginario collettivo degli italiani, il luogo più soggetto al ciclo delle stagioni. Malinconica e silenziosa d’inverno, frenetica, vivace e affollata in piena estate. Una spiaggia in Sardegna poi, è quasi un archetipo rispetto a questa percezione scontata. Spesso, grazie anche ai media nazionali, vede sommarsi alle idee che ho detto anche quella di una frivolezza che sconfina facilmente nella cafonaggine spinta, nel vuoto di pensieri, nel rifiuto necessario di ogni cosa che abbia a che fare con la costruzione di cultura. Mai fidarsi dei luoghi comuni, però, specie in Sardegna. Sulla spiaggia della Sciumara, a Palau, per il secondo anno di fila il Comune ha finanziato un’attività dal nome evocativo: BiblioBlu. Si tratta di laboratori di lettura e attività divertenti a cui partecipano in molti, residenti e ospiti. Ieri Repubblica se n’è accorta e in un articolo di Loredana Lipperini ha inserito BiblioBlu nell’elenco delle cose per cui “l’Italia dovrebbe inorgoglirsi” se fosse un paese che ha a cuore i libri e la lettura. BiblioBlu però non è solo “libri al mare”, il che sarebbe già sufficientemente meritorio. BiblioBlu è letture e laboratori al mare e educazione all’ambiente e alla complessità, ma per bambini. Perchè i bambini? Sui bambini punta chi ha un’idea di cosa sia successo negli ultimi duemilacinquecento anni e ha deciso di investire pensando almeno ai prossimi cinquanta, trasmettendo idee e piantando semi. Puntare sugli adulti, nella cultura, ha un indubbio valore etico che a volte, non sempre purtroppo, è sostenuto anche da un ritorno più o meno immediato: di pubblico, di contatti, a volte di incassi (se si tratta di vendere libri). Puntare sui bambini invece è un investimento potenzialmente a perdere. Non comprano nulla (a meno che non stiamo parlando dell’installazione di un centro commerciale, ma non è questo il caso) e si limitano a rispondere con la sola presenza per ripagare gli sforzi di chi organizza. Il pienone di bambini che vogliono tornare è il guadagno nel breve termine. Certo, Marcella e Alessandra, le operatrici, sono pagate dal Comune per il lavoro che fanno, ma l’investimento è destinato a produrre nei piccoli ospiti sostanzialmente una cosa: consapevolezza. Il lavoro consiste nel raccontare (e ascoltare) storie, insegnare a creare (e creare) oggetti, offrire piccole conferenze in cui si parla, con il linguaggio giusto per un pubblico dai tre ai dieci anni, di archeologia, di cetacei, di ricerche scientifiche in Antartide, di evoluzione, di biodiversità, di farfalle, di alimentazione. Io non sono affatto obiettivo. Sono il marito di Marcella, sono amico di Alessandra e sono anche uno degli adulti “esterni”, coinvolti dalle due organizzatrici. A proposito: Marcella è l’ideatrice del progetto e tiene i laboratori e le letture, Alessandra cura in ogni dettaglio la comunicazione e la parte multimediale, insieme si dividono le mille cose che ci sono da fare dietro le quinte per far funzionare BiblioBlu. Le cose che fanno sono visibili nel canale Youtube di BiblioBlu Io sono uno degli adulti esterni, dicevo, e interverrò anche quest’anno per l’educazione ambientale offrendo ai bambini un ciclo di tre escursioni condite di storie di mare, di fiori e di animali. La chiamano educazione ambientale. Io preferisco chiamarla “educazione alla complessità”. Rende meglio l’idea della posta in gioco. Non si tratta di far capire quante piante ci sono nell’ambiente che ci circonda ma di mostrare ai bambini, raccontando storie, che l’ambiente non è un elenco di cose ma una rete di storie; che è complesso, perchè vale più della somma di tutte le cose che ne fanno parte, perchè sa guarirsi da sè, perchè tutte le cose che contiene sono connesse e comunicano tra loro, si influenzano e sono in grado di sostenersi o di eliminarsi a vicenda. Come raccontano gli ultimi 2500 anni, come racconta l’evoluzione, come racconta qualsiasi storia di mare; se ci pensate bene, le più belle sono quelle in cui la voce narrante è immersa nel paesaggio che descrive. Una storia di mare non si può scrivere se non sul mare. L’educazione ambientale non si può fare se non si racconta che siamo l’ambiente che vogliamo osservare; che possiamo decidere se provare a sostenerlo o distruggerlo col nostro modo di essere presenti. Noi (compreso chi in questo momento sta leggendo questo articolo), che crediamo che raccontare una storia a un bambino sia un gesto antico e carico di futuro, come quando si pianta un seme.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
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Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
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