Uno si chiede: ma perché devo andare all’Expo? Probabilmente non c’è un motivo valido e, nella maggior parte dei casi ci si va per “vedere i padiglioni” o, magari, per recuperare qualche gadget. Sotto questo profilo l’Expo di Milano è eccessivamente “spending-review”: non si assaggia niente e nessuno regala nulla. Neppure depliant. E’, come dice la parola stessa, un’esposizione legata alla madre terra, quella tanto decantata da Frate Francesco e difesa in un’enciclica, proprio in questi giorni, dall’attuale Pontefice. L’esposizione universale servirebbe a far riflettere su come stiamo sfruttando l’unica risorsa che abbiamo e che, come si diceva ai miei tempi, abbiamo avuto in prestito e dovremmo lasciarla ai nostri figli. L’Expo è, invece, una lunga passeggiata sotto un decumano telare chiaro dove la gente ondeggia lentamente e visita i padiglioni. Una delle cose incredibili è che all’Expo di Milano uno non si perde. E’ lineare, scorre veloce dentro una camminata sonnacchiosa tra un chiacchiericcio e una sosta obbligata. Difficile, in un giorno, riuscire a vedere tutto ma i visitatori, vi assicuro, tentano di entrare in massa nel padiglione della Cina, in quello del Brasile, del Qatar e, soprattutto all’interno di palazzo Italia dove l’attesa dura oltre un’ora.
Ogni nazione ha provato a raccontare la biodiversità e il salvataggio del pianeta in molti modi: chi portandosi direttamente il proprio habitat naturale (il padiglione della Thailandia è un tripudio di piante tropicali) chi, invece, regalando immagini tridimensionali in muri che sembrano muoversi (bellissimo, sotto questo aspetto il padiglione dell’Argentina dove, ad un certo punto, ti trovi immerso nel paesaggio e, come un drone, svolazzi sulle distese delle pampas, insieme ai gauchos e ad un tango sublime) o chi gioca con la musica (Azerbaijan) e con i fiori molto colorati. Non si ha l’impressione di un luogo dove è possibile capire dove il futuro sta scrivendo la storia e non si ha neppure l’impressione di amarlo troppo questo nostro pianeta (che risulta, lo ricordo a me e a tutti l’unico, finora, a disposizione). Cosa è allora l’Expo? Una vetrina importante, certo. Una serie di convegni (ieri c’era un incontro internazionale sul pomodoro con una sala affollatissima, per dire) incontri bilaterali, molto folklore (gli stand delle regioni italiane continuano a proporre i propri prodotti: dalla caciotta ai vini, ma di percorsi di biodiversità non c’è niente da nessuna parte) qualche passaggio interessante sulle coltivazioni naturali ma, a conti fatti, nient’altro. Una bella passeggiata tra i colori e una lunga fila per il padiglione del Brasile dove si cammina sospesi in una rete di corde, tra il legno e le piccole piante. Se avete fame, poi, c’è Eataly, venti ristoranti con le cucine delle eccellenze delle nostre regioni, con un unico comune denominatore: sono terribilmente cari e troppo caserecci. Insomma, manca quel glamour che Expo voleva regalarci. Una festa paesana ben orchestrata. E quando ne esci e dai lo sguardo all’albero della vita (che immaginavo molto più imponente) ti accorgi che il cielo di Milano non promette moltissima eco sostenibilità.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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