Quest’anno abbiamo davvero bisogno di Sanremo, di quei riti legati al comprendere perché alcuni sono su quel palco e altri, invece, non lo calpestano. Abbiamo bisogno di sentire la canzone vincitrice dello scorso anno aprire il festival, per ricordarci quello che a quei tempi non avevamo ancora capito e che sarebbe rimasto indelebile per sempre. Abbiamo bisogno di quella gaiezza, di quella sconsiderata leggerezza, della voglia di sorridere, annoiarci, imbestialirci inseguendo le note sconosciute di ventisei canzoni che fra qualche mese neppure si ricorderanno. Abbiamo bisogno di serate interminabili a discutere dei vestiti bizzarri utilizzati da quel cantante, delle stonature di quell’altra, dei capelli troppo cotonati, delle voci eccessivamente sguaiate, del presentatore che non ha capito, dell’ospite che guadagna troppo, della stupidità di certi passaggi musicali, di quanto sia difficile e inutile arrivare sino alle due di notte per scoprire il vincitore manco ci cambiasse la nostra vita. Abbiamo bisogno di tutto questo almeno per un attimo, almeno per cinque sere, almeno per non continuare a conteggiare morti, trascorrere lunghe serate tra un virologo ed un politico, tra un vaccino che non arriva e tra colori che ormai ci sovrastano. Abbiamo bisogno di stupidità, di canzonette e di un pizzico di follia. C’è la necessità di risentire Arisa che ha una bella voce, Fedez e Francesca Michelin che partono tra i favoriti e magari Sanremo non lo vincono, abbiamo l’assoluta esigenza di vedere come se la cavano Irama, Aiello, Colapesce Dimartino, Coma_Cose, Fasma, Ghemon, Madame, Maneskin e Max Gazzè. Sono i cantanti di stasera che se girate su you tube vi renderete conto che sono ragazze e ragazzi che hanno milioni di visualizzazioni per i loro precedenti brani. Più della donna cannone. Per dire. Ecco, abbiamo bisogno di Sanremo e di capire. Abbiamo bisogno anche di quelli che diranno, come sempre, che Sanremo è una schifezza, una noia mortale, un complotto giudaico plutonico e che è inutile perdere tempo. Lo so. E’ tempo perso ma maledettamente bello. E le cose inutili sono quelle che non si ricordano ma riempiono la vita. Anche se per poco. Abbiamo bisogno di Sanremo anche se non lo sappiamo e perché dopo un anno di terribile silenzio qualcosa di un po’ cafone, un po’ tamarro, un po’ irridente, un po’ slabbrato, sgangherato, insolito, insipido, ce lo meritiamo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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