“Ah, se non mi trovate degna di portare avanti questa causa, potete serenamente lottare voi o scegliervi altri che ci mettano la faccia, altrimenti, tentando di sminuirmi e basta, siete solo dalla parte di chi insulta e sta trasformando il web in una cloaca.”
La Lucarelli chiude con quest’affermazione netta uno dei suoi tanti post sull’argomento. E io, che pur non la trovo affatto degna di perorare la causa, non mi sento assolutamente dalla parte di chi insulta.
La causa a cui allude è quella che la vede indossare i panni di un giustiziere della notte per reprimere la violenza verbale dilagante nei social e di cui lei è stata talvolta vittima. E sarebbe anche operazione meritoria se non fosse che, all’interno della sua lotta, utilizza le stesse armi che dice di combattere… legittimandole. Il suo messaggio è chiarissimo: o con me o contro di me.
Ma vediamo meglio come vanno le cose.
Selvaggia Lucarelli, meritatamente o immeritatamente, è personaggio celebre il che la rende bersaglio di insulti sconcertanti, tanto violenti quanto inaccettabili. E sebbene esistano dei mezzi legali per fronteggiare la cosa, che si chiamano querele, polizia postale e denunce, lei li schiva tutti e si fa giustizia da sé utilizzando appunto l’insulto, l’irrisione, l’offesa e la violenza verbale. Si reca nelle bacheche degli accusati, fa gli screenshot delle loro foto profilo e informazioni, e poi affigge il tutto nella propria pagina in un grottesco Wanted mediatico incitando implicitamente i passanti a sputarci sopra.
E a un certo punto non si capisce più chi sia l’oppresso e chi l’oppressore, perché modi e metodi incredibilmente coincidono.
Ultimamente ha trovato una variante ancora più deforme: chiama al telefono i diffamatori e, facendo leva su strumenti anche lessicali oltreché sul proprio ascendente di popolarità, di cui lei dispone ma quelli lì no, dà l’avvio a un soliloquio aggressivo e tracotante nel quale da vittima si trasforma in bulletta.
Il tutto viene poi esibito come trofeo nella sua pagina Facebook.
– Pronto, sei Emanuele? Sono Selvaggia Lucarelli, ho letto che mi vuoi dire due cosette, sentiamole. Ripetimele, forza… – Ma tu non mi conosci – No non sei uno sconosciuto, ti chiami Xxxxxxxxx, hai il Bar Xxxxxxx a Frosinone, cosa mi vuoi dire? – No nulla – Come? Eri così minaccioso e poi non hai niente da dire? Queste sono le du’ cosette? – Veramente sono un po’ intontito, stavo dormendo – Ma come? Minacci e stavi dormendo? Ti caghi sotto? Sei un altro senza palle che sul web minacci e poi quando chiamo se la fa nei pantaloni? Ma non ti mettere nei gruppi Welcome to Favelas, mettiti nei gruppi Welcome to ‘sto cazzo. Adesso metto questa telefonata sul web così sentono tutti che bell’uomo che sei. Tira fuori le palle, cagasotto. Sei un cagasotto! Ridicolo, s e i r i d i c o l o! Ciao vigliacchetto.
Ora, a parte il peso specifico delle offese e l’aggravante dell’antecedenza nello scagliarle, quali differenze ci sono fra la Lucarelli e chi la insulta brutalmente? Nessuna, verrebbe da rispondere, proprio in virtù di quella confusione nei ruoli dovuta all’identità del modus operandi.
E invece ce n’è un’altra fondamentale: la fama e la visibilità.
Quando un personaggio pubblico, che potrebbe attingere a rimedi civili e decorosi, utilizza la propria notorietà per mettere in piedi un teatrino del dileggio, non dissimile da una gogna mediatica per schiacciare gli altri, spacciandolo oltretutto come rimedio punitivo/educativo, significa che siamo davvero al capolinea. È Cassius Clay che, importunato al bar dal teppistello di periferia, sposta i tavoli e infila i guantoni per dimostrare al ragazzino che non bisogna picchiare la gente. E come glielo insegna? Riempiendolo di botte.
Questo rispondere alla violenza con la violenza è aberrante. Questo è uno specchio perverso che, quando si trova al cospetto di una brutalità, ottiene l’effetto contrario: la sdogana e l’accresce. Eppure che un fenomeno si combatte e si annulla esattamente col suo opposto, poiché ogni azione simile gli tributa consenso e lo incrementa, non sarebbe un concetto difficile da capire. L’omeopatia a queste latitudini non funziona affatto, tutt’altro.
I millemila likes sotto i gli articoli denigratori, sebbene ammantati da una fragile e traballante patina didattico-pedagogica, della celebre opinionista fanno spavento. E, al di là di quelli apposti per una compiacente motivazione da lustrascarpe, significano “brava, hai fatto bene e approvo il tuo operato”.
Invece a me mettono addosso un’infinita tristezza, perché sono gli applausi del pubblico a un combattimento fra cani.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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