Tra i tanti candidati al personaggio del giorno di oggi, ho deciso di scegliere quello meno conosciuto, incoronando Luca Schiavon, agente di commercio friulano di anni 52, ennesimo martire della burocrazia italiana.
La sua disavventura comincia un mese e mezzo fa. Forse a causa del caldo (siamo in agosto) Schiavon commette un piccolo ma tragico errore nel compilare on line il modello per il versamento dell’Iva trimestrale. La cifra di 967,30 euro, per un errore di battitura, diventa 96.730 euro. Schiavon se ne accorge a cose fatte. Essendo chiaramente un errore, confida sul fatto che l’Agenzia delle Entrate lo riconosca in fretta e ponga rimedio. Ma l’idrovora è già entrata in azione. Approfittando del fatto che il conto di Schiavone si è appena arricchito dei proventi della vendita di una casa, la somma viene prontamente introitata dal Fisco.
Il commerciante si rivolge, dunque, ai solerti funzionari delle Entrate. I quali, procedure alla mano, rispondono che i soldi versati saranno restituiti gradualmente come compensazione dei prossimi debiti. A occhio e croce, considerato il fatturato del nostro, occorreranno venticinque anni. A Schiavon non è rimasto che ingaggiare un pool di avvocati. Non per vedersi riconoscere l’errore (che l’Agenzia, per fortuna, riconosce) ma per trovare il modo di riavere indietro i soldi. Che, se ci pensate, è pura follia in uno Stato di diritto.
Per capire meglio con chi abbiamo a che fare, riporto alcune dichiarazioni rilasciate al quotidiano “La Stampa” dal direttore dell’Agenzia delle Entrate di Pordenone. “Il fatto che un evento del genere non sia mai capitato non aiuta a dirimere i dubbi procedurali”. “Il sistema dei rimborsi è standardizzato e noi non possiamo interpretarlo”. Affermazioni inquietanti. Il direttore ci informa che siamo nelle mani di un sistema imperfetto di regole, regolette e cavilletti che non contempla il proprio errore. Questa, poi, è fantastica: “Va individuata la strada maestra per questa operazione non contemplata dalla casistica”.
E io che (illuso) pensavo fosse molto più semplice. Se commetti un’appropriazione indebita e ti accorgi che è un errore, la via maestra è una sola: restituire i soldi. Subito. Altrimenti stai rubando. E, in quel caso, la via maestra conduce dritti in galera. Sostenere che il proprio sistema standardizzato non contempla il caso, supera abbondantemente la soglia del ridicolo. Ma in Italia siamo fatti così.
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