Non è detto che la palla sia tonda. C’è pure quella ovale che, da oggi, è protagonista dell’annuale torneo del “Sei Nazioni” di rugby. Galles, Irlanda, Inghilterra, Scozia, Francia e Italia si sfidano a colpi di mete e placcaggi alla ricerca della supremazia continentale. E, se lo spettacolo sarà quello della meravigliosa gara inaugurale vinta dalla Scozia sull’Irlanda, ci sarà ancora una volta da divertirsi.
La storia di questo torneo parte nel lontano 1883. All’epoca, era uno scontro tutto britannico. Nel 1910, a Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia si aggiunse la Francia. Dal 2000, ci siamo pure noi italiani. Nel gotha del rugby europeo ci siamo entrati da cenerentole ma, qualche volta, abbiamo dato da filo da torcere a nazioni in cui questo magnifico sport compete con il calcio quanto a diffusione e seguito.
Il rugby è disciplina ruvida ma fondata sulla lealtà, un esempio da contrapporre alle magagne che hanno gettato fango, nel tempo, in parecchi altri sport, a cominciare proprio dal calcio. Resta un esempio da seguire, in particolare in tempi in cui il cattivo esempio arriva fin dalle gare delle giovanili, con zuffe tra i genitori, insulti razzisti e altre amenità che, con l’essenza dello sport, nulla hanno a che fare.
Quando l’Italia fu ammessa al Sei Nazioni, insieme all’esultanza, c’era pure preoccupazione. Come riempire gli stadi di un Paese, il nostro, in cui la passione rugbistica era ristretta ad alcune regioni, il Veneto in particolare? Come fare in modo che l’Italia dei tre quotidiani sportivi, quasi completamente votati al calcio, si accorgesse dello spettacolo del rugby? C’è voluto tempo e pazienza ma l’impresa è andata in porto. La nazionale italiana, da qualche anno, riempie gli stadi, anche se perde spesso ed è quasi sempre la candidata numero uno al famoso “Cucchiaio di legno”, il poco ambito riconoscimento che viene assegnato alla squadra che arriva ultima.
Più di una volta è accaduto che l’Italia finisse pesantemente sconfitta in casa, palesando un’inferiorità a volte imbarazzante. Ma mai, dagli spalti, sono partiti fischi e insulti. Solo applausi, a premiare comunque la buona volontà, la fatica, il tentativo di salvare l’onore mettendo in campo tutta l’energia possibile. A fine partita, le due squadre si ritrovano insieme a bere birra nel cosiddetto “terzo tempo”. Perché le botte si danno e si prendono, ma solo in campo. E la partita è solo una partita che si può vincere, perdere oppure pareggiare. E finisce lì, davanti a una pinta di birra e gente che sorride, vincitori e vinti.
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