Nessuno di noi conosce Kobob, eppure moltissimi di noi lo hanno trattato male. Kobob è uno dei tanti minori non accompagnati che approdano sugli scogli di Lampedusa, ragazzini messi sopra la barca perché i genitori sperano possano avere una vita diversa dalla loro. Ragazzini che non hanno nessun futuro dalle parti dove hanno avuto la sfortuna di nascere. Ragazzini che sentono il rumore della nostra civiltà attraverso i satelliti delle televisioni. Ragazzini che vedono le partite di calcio e sognano di diventare Higuain. Come i nostri ragazzini. Minorenni che devono modellarsi la propria vita e che, da subito, si trovano davanti ad una curva e per giunta in salita. Kobob è uno di quei minorenni venuto da quel nulla che nessuno vede, sopra una barca il 3 ottobre 2015. Kobob osservando il cielo, quella notte, si accorse che da Lampedusa le stelle avevano un colore diverso. Che quell’universo nero con piccoli ricami bianchi poteva diventare un punto di partenza. Kobob, nella sua lingua significa “stella” e non aveva nessuna intenzione di spegnersi quel 3 ottobre. Non aveva nessuna intenzione di mollare quella notte. Aveva solo la volontà di sopravvivere. Aveva la voglia incontenibile di avere un’opportunità. A tredici anni, per fuggire dalla propria vita, abbandonare i genitori, la propria storia, ci vuole indubbiamente coraggio e disperazione mista a rabbia e desolazione. Kobob è stato tutto questo. Ha ringraziato i suoi genitori di averlo infilato dentro quella barca, ha ringraziato il suo Dio per essere riuscito a giungere a Lampedusa e ha ringraziato Cristian, il suo nuovo padre. Perché poi le storie non hanno mai gli stessi finali e non camminano sulle stesse strade. Non è rimasto in Italia. Veniva dall’Eritrea con altri cinque ragazzini. Tutti morti. Nel buio del mare. Adesso Kobob va a scuola, in Svezia e l’anno scorso lo ha raggiunto Fresalam, sua sorella. In tigrino (la lingua dell’Eritrea) quel nome significa “seme della libertà”. I due minori non accompagnati vivono con Cristian, il loro nuovo padre che cura anche un altro minore rifugiato. Lo fa con il contributo che il governo svedese dà a chi ospita. Anziché vivere dentro le nostre assurde angosce quotidiane, dividere i ragazzini, non farli giocare a pallone con i nostri, da altre parti su quei ragazzaini ci si scommette. Kobob sta studiano. Vuole diventare dottore e sconfiggere la notte. Noi, invece, dentro la notte buia del razzismo e dell’intolleranza, ci siamo dannatamente dentro. Siamo un paese di vecchi. E senza nessun colore.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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