Non ho mai giocato al “10 e lotto”, se non altro per le quasi inesistenti possibilità di vincita che questo giochino riserva, al pari di “gratta e vinci” et similia. Ciò non significa che sia un detrattore del gioco in sé. Diciamo che cerco di orientarmi in base al calcolo delle probabilità e alle mie finanze. Di certo, se avessi una somma da giocare non la “investirei” in un giochino dove ho 1 possibilità su quasi 31 milioni di azzeccare la combinazione migliore.
Il “10 e lotto” è oggetto, in questi giorni, di una campagna pubblicitaria invasiva e fastidiosa. Lo spot passa a ritmi frenetici ed è praticamente impossibile evitarlo, qualsiasi canale televisivo si stia guardando. Il testimonial è il “10” per eccellenza, Francesco Totti, nei panni di un improbabile candidato alle prese con strategie elettorali sul web. L’eterno capitano della Roma ascolta inebetito un nerd che gli illustra come sviluppare la campagna. Zuckerberg l’avrebbe mandato affanculo; Totti, invece, chiede una traduzione al collega sano del succitato nerd e, una volta capito che trattasi semplicemente di andare in rete, assesta la banalissima battuta in romanesco. “E che ce vo’…”.
Lo spot potrebbe pure risultare simpatico, se preso a piccole dosi. Ma la campagna, come detto, è talmente invasiva che basta una serata per bruciarne l’effetto. La frequenza è tale che l’obiettivo non può che essere quello di convincere quanta più gente possibile a dedicarsi al nuovo giochino “spennagrulli” ideato dallo Stato biscazziere per incrementare le entrate. Il “10 e lotto” è un’autentica, immorale diavoleria. In sostanza, ogni cinque minuti c’è un’estrazione. Online si gioca 24 ore su 24. Ma è al tabacchino che si possono incontrare gruppi di persone incollate a uno schermo che spara numeri in continuazione. Se perdi, puoi rigiocare subito e magari, stavolta, vinci. E se perdi di nuovo, hai subito un’altra chance. E così via all’infinito. Il tempo, mai come in questo caso, è denaro. Ma per chi? Per il banco, cioè lo Stato.
I dati dicono che i giocatori patologici,in Italia, potrebbero essere un milione e mezzo. La crisi, peraltro, alimenta il sogno di cambiare il proprio destino grazie a un colpo di fortuna e, a quanto pare, il nostro Paese è estremamente vulnerabile a questo tipo di suggestioni. Ciò che sconcerta è dunque la massiccia promozione messa in campo per diffondere un giochino assai pericoloso. E non può bastare la frase “giocare troppo può causare dipendenza patologica”, pronunciata a velocità assurda a fine spot (ogni secondo, in tv, si paga caro) per ripulirsi la coscienza. E che vuol dire giocare “troppo”? E perché non scrivere direttamente “stai attento perché potresti ammalarti e rovinare te e la tua famiglia”? E perché, se davvero si vuole essere coerenti, non vengono inserite nei biglietti di lotterie e “gratta e vinci” e nelle schermate delle slot, immagini simbolo (sullo stile dei pacchetti di sigarette) anziché stelline e monete che luccicano, sogni impossibili e altre illusioni da 1 possibilità su 31 milioni?
Più gente gioca, più lo Stato guadagna. Ma dovrebbe esistere un limite morale, se è vero che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività”. Basterebbe essere meno invasivi e subdoli, anche e soprattutto nella pianificazione delle campagne pubblicitarie. E che ce vo’…
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