Caro amico, ora che ti è alzata questa paura fottuta dei negri che vivono al Corso, ti racconto una cosa. Come sai sono nato e cresciuto sino all’età di dodici anni in piazza del Comune, a Sassari. Ho cominciato ad andare a scuola per i fatti miei già dal secondo giorno di scuola della prima elementare. Il primo giorno probabilmente qualcuno mi avrà accompagnato per conoscere la maestra. Andavo alle scuole di San Giuseppe. Percorrevo via Canopolo, via Turritana, via e piazza Università e via Torre Tonda sino a via Enrico Costa. La mia casa era molto piccola. Io dormivo su un divano letto in camera da pranzo. Facevo i compiti su una ribalta di legno avvitata al muro e tenuta orizzontale da certi ganci mobili. Quando finivo, sgombravo la ribalta, la rimettevo giù e andavo in strada a giocare, perché a casa per giocare non c’era molto spazio. Strada voleva dire tutto il centro storico, tutta la città murata. Alle volte anche fuori, come quando, già grandicelli, ci spingevamo al Monte per andare al Rex e allo Smeraldo, dove i cowboy e Maciste non erano in prima visione ma costavano meno. Questo per dire che ero del tutto libero di muovermi, come i miei amici. Eppure ti assicuro che i miei genitori non erano degli incoscienti. Anzi. Evidentemente ritenevano che gli ampi spazi nei quali mi aggiravo non nascondessero pericoli. E in effetti non ho mai avuto alcun problema, salvo le solite zuffe tra ragazzini sedate a calci in culo da occasionali passanti o, se nei pressi di Palazzo Ducale, dal vigile urbano di piantone nella sede del Comune. Zuffe utili, anzi, perché impari a difenderti e a prenderle con saggezza quando ti tocca e così poi non stai a piagnucolare ogni volta che sino a vecchiaia la vita ti tira qualche tunda. Tu dirai che circolavo tranquillamente perché allora erano quartieri tranquilli ché non c’erano tutti questi negri che adesso non si può più mettere piede al Corso. In effetti di negri non ce n’erano. E neppure cinesi o indiani. Ricordo anzi di un negro, forse un atleta, che percorse l’intero Corso seguito silenziosamente da un folla di curiosi che sempre più si ingrossava coma una valanga. Quindi quelle due prostitute che una volta si azzuffarono all’angolo tra via Canopolo e largo Pazzola e una delle due strappò all’altra la guancia sino all’orecchio con un dito a uncino e io ricordo le secchiate d’acqua per pulire i ciottoli con tutti i rivoletti di sangue, quelle due prostitute, dico, dovevano essere indigene. E anche il falegname vicino a casa mia che quando tornava dalla bettola e trovava la moglie che scopava in bottega con un suo conoscente e cominciavano a volare barattoli di colla e martelli e si radunava una folla festante della quale facevo parte anch’io tenendo stretta per mano mia sorellina che aveva neppure due anni e quindi mamma mi diceva di portarla, sì, a vedere e a svagarsi ma di starci attento io che ero grande ossia che le arrivasse qualche pialla in testa, anche il falegname e la moglie non erano immigrati. Erano di qui. E anche la volta che una piccola folla stava per linciare un tale addossato a un muro con gli occhi sbarrati che non si riparava neppure più dai colpi e io non capivo e ricordo ancora la sua faccia terrorizzata e infine il piantone del Comune che riusciva a portarlo in salvo nell’androne del palazzo e poco dopo i carabinieri che entravano e lo portavano fuori in manette mentre la gente lo sputava. Nessuno me lo spiegò, ma doveva essere un mangiabambini o qualcosa del genere. Ma di negri allora non ce n’erano. Anche lui di qui, doveva essere. E anche quelli che lo volevano linciare dovevano essere di qui. E potrei continuare con questi esempi di centro storico dove tu bambino potevi circolare senza che ti accadesse niente di brutto anche se di cose brutte, come in ogni luogo e in ogni tempo, ne accadevano. Eccome. E’ che allora mancava la paura dello straniero, perché di stranieri non ce n’erano, se non qualcuno che veniva da Sennori per vendere la frutta in strada tra l’incazzatura dei fruttivendoli con negozio fisso. Soprattutto alle Quattro Cantonate. Adesso invece succedono le stesse cose però tu hai paura perché tra i protagonisti ci sono anche persone con la pelle diversa dalla tua. E invece non c’è niente di nuovo sotto il sole, amico mio, se non la tua paura e quelli che la pompano per i loro sporchi interessi.
In alto, via Torre Tonda in un disegno di Antonio L. Sechi tratto da “Sassari minore” (Gallizzi, 1957).
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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