Niente ferie, niente festività e nemmeno “tredicesima e quattordicesima”. Chi è Pastore lo è 365 su 365 giorni all’anno, sette su sette e ventiquattro su ventiquattro, non v’è dubbio, anche a costo di rimetterci a volte.
Eppure, chi lo svolge, ama quel lavoro. Fra il pastore ed il suo gregge o mandria si instaura un rapporto, un legame per molti difficile da comprendere e riconoscergli.
Tziu Fausto si ammalò di un male terribile, spietato, ma non seppe mai esattamente cosa fosse ad impedirgli di stare nel suo mondo, fra le sue amate pecore, capre e cavalli. Un mal di schiena lancinante, perché quel male gli si era concentrato fra le costole e la spina dorsale, un male che lui continuava a dire che sarebbe passato, permettendogli così di ritornare alla sua dura quanto amata vita. Ma da quell’ospedale uscì solo per finire i suoi giorni a casa, in paese, fra le attenzioni delle sue sorelle. Su di una ambulanza cominciò il viaggio, da Nuoro verso Anela. Chiese di potere stare seduto anzi che sdraiato nella lettiga, per scorgere almeno un po’, per quanto i vetri opacizzati di una ambulanza lo permettano, quel mondo a lui tanto caro fatto di pascoli e vegetazione, di “roba” al pascolo o all’ombra di una quercia.
Chiese addirittura all’autista di fare un percorso diverso, per potere dare uno sguardo alle sue pecore, trasferite in un altro podere per potere essere accudite quando venne ricoverato. L’autista l’accontentò, così come notò una lacrima solcare quel volto scarno, fatto di lineamenti duri come il basalto, ma fondamentalmente dolci come il suo animo, nel vedere il suo gregge e, forse, rendersi conto che quella sarebbe stata l’ultima volta.
Non ne passarono molti di giorni, il male era esteso e si aggravava sempre di più, sino a consumarlo definitivamente. Gli davamo le sigarette di nascosto, perché negarle ad un malato terminale può arrecargli solo un dolore in più, non è per quelle che stava morendo.
Venne così il giorno del funerale, partecipatissimo perché Tziu Fausto era conosciuto e benvoluto in tutta la zona, il Goceano ed oltre.
Il corteo si muove a piedi, sotto un cielo grigio che ci risparmia la pioggia, dalla chiesa al cimitero, appena fuori il paese. Dietro al cimitero una collinetta, sulla collina si vede un gregge di pecore, la distanza fra loro ed il cimitero è la stessa che separa il feretro dalla sua ultima dimora, ed ecco che il gregge si muove, in una composta fila da vita ad un secondo corteo funebre che si avvia silenzioso verso quel muro che divide il pascolo dal camposanto, dove i duei cortei arrivano insieme.
Il silenzio è totale, si sentono solo i passi ed un brusio discreto e rispettoso quando la bara fa il suo ingresso, portata a spalla da amici e conoscenti, nella piccola cappella. Una preghiera, poi la fila per le condoglianze e poi si scende, verso il loculo destinato.
É a quel punto, che mi accorgo di quanto accade, dall’altra parte del muro, quel gregge raccolto comincia a belare in modo davvero particolare, più che belati sembravano pianti, sofferenti urla di dolore diretti a chi, nella sua vita, aveva sempre mostrato e mantenuto rispetto ed amore per quegli animali che per lui significavano vita, sopravvivenza e passione.
Quel belato aumentava ad ogni foratino che il muratore sistemava nel chiudere la tomba, straziante, lo notammo in molti e la cosa ci commosse ulteriormente, altri pastori presenti confermavano che quello non era un normale belare di pecore ma piuttosto un pianto, un saluto affettuoso a chi con affetto le aveva accudite, anche se quelle non erano le pecore di Tziu Fausto.
A conferma di ciò, non appena fu posto l’ultimo foratino, il gregge smise di colpo di belare e si riavviò verso la collina, lentamente, in totale e composto silenzio. Vi si fermò proprio in cima, rivolto verso il cimitero, sembravano finte perché restarono ferme lì per tutto il tempo che impiegammo ad uscire ed il tutto aveva un non so che di irreale, ma è tutto vero e l’abbiamo vissuto con inenarrabile emozione. Un’emozione che spero di essere riuscito a trasmettervi, almeno in parte, e che vi auguro di vivere magari in circostanze meno tristi, perché sono emozioni che fanno bene all’Anima quanto alla Natura, e ce n’è davvero un immenso bisogno.
Ho come la certezza che Tziu Fausto ora stia felice e sereno, con le sue pecore, capre e cavalli, lassù nei verdi pascoli.
[gavin®icci]
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