Alle nove di un venerdì sera d’agosto R. tornò alla centrale operativa per timbrare il cartellino, alla fine delle sue otto ore di servizio. In mezzo al plotone di guardie giurate coi volti umidi e appiccicosi di sudore e le camicie incollate al petto, uomini stravolti dalla fatica di una giornata di lavoro sotto al sole, R. si distingueva a prima vista, come se appartenesse ad un’altra specie. Era abbronzato ma non accaldato, anzi profumava di fresco, aveva un’aria rilassata e avresti detto persino annoiata. Fischiettava allegro.
Si presentò nelle stesse invidiabili condizioni di forma anche alla fine del turno del giorno dopo, sabato sera, e l’indomani ancora, alle 13 della domenica, dopo un turno iniziato alle cinque del mattino. Tutti gli altri di cattivo umore, con le caviglie doloranti quelli dei servizi a piedi, col torpore cui il corpo umano si rassegna quelli delle pattuglie e dei piantonamenti nelle ville. Lui sorridente, come se i danni di quel lavoro sfiancante non lo sfiorassero.
Eppure avevano assegnato anche a lui, per quei tre giorni, uno dei servizi più temuti. Isolato, in una villa al centro di una vasta proprietà affacciata sul mare. Ci si arrivava da una strada bianca lungo quasi un chilometro, incuneata in mezzo alla macchia. La villa era, appunto, esposta alle insidie del mare, come un antico villaggio sardo alle razzie dei saraceni. Quando la costruirono era il 1963. Non esistevano piani regolatori che potessero impedire ad un industriale di piantare le fondamenta della propria casa vacanze sulla spiaggia. La famiglia brianzola però aveva un certo timore di quella solitudine, perciò pagava un servizio di vigilanza fisso. Nella vecchia residenza, tra l’altro, non erano stati installati condizionatori e gli inquilini avevano l’abitudine di dormire all’aperto, nel giardino che sfumava sulla spiaggia. La guardia doveva star fuori dal cortile, a debita distanza, per non insidiare la privacy della famiglia. Per quel fine settimana il guardiano era R. Una gran rottura di coglioni! Ma R. aveva inspiegabilmente terminato il week end più fresco di quando lo aveva iniziato.
Giorni dopo, quando ormai la stagione degradava nelle ombre malinconiche di settembre, lui mi spiegò quella tre giorni nella villa. Il capofamiglia, il venerdì pomeriggio, gli aveva esposto il suo piano per quel fine settimana. In gommone lui, moglie e figli sarebbero andati in un’isola ad un paio di miglia dalla costa e lì si sarebbero accampati, per farvi rientro solo la domenica notte. La casa sarebbe rimasta aperta e a R, tra le altre consegne, venne concesso di prendersi da bere dal frigorifero, se il calore lo avesse sopraffatto. E il caldo asfissiante iniziò presto a friggergli il cervello. Il luogo era piatto, al riparo da ogni vento e, in certi pomeriggi estivi, neppure un refolo di corrente alleviava l’aria rovente. Verso le quattro del pomeriggio R decise di giocarsi il tutto per tutto, risolvendosi ad una decisione che poteva costargli cara. Si levò la divisa, piegandola con cura, e si tuffò in piscina. Confidava nel silenzio. Benché in mezzo alla costa caotica, su quell’oasi gravava un silenzio di piombo. Certo, il silenzio era il suo migliore alleato. Avrebbe certamente udito il rombo di un motore, se qualcuno fosse arrivato via terra, e nel breve tempo sufficiente a raggiungere la villa avrebbe potuto infilarsi la divisa e presentarsi in modo decente all’invasore. Lo stesso tempo per ricomporsi avrebbe avuto se il ronzio fosse arrivato dal mare, perché tante volte barche sconosciute approdavano sulla spiaggia davanti alla villa e i passeggeri incuriositi s’inoltravano nella proprietà, fin quasi sulla porta di casa. Doveva essere freddo e svelto, se qualche scocciatore lo avesse sorpreso, ma decise di correre il rischio. E invece di scocciatori non se ne presentarono. R trascorse le sue otto ore giornaliere di servizio di quel fine settimana in costume da bagno, coi piedi a mollo, ogni tanto tuffandosi nella vasca azzurra quando il caldo si faceva insopportabile, ogni tanto sorseggiando una Cocacola. R non ne fece mistero e lo disse a molti colleghi, quando ormai il “reato” poteva dirsi prescritto. Qualcuno si complimentò per la sua audacia, altri commentarono contrariati la sua sfrontatezza. Era quello stesso chiacchiericcio che si sentiva in tutta la costa chiassosa. Manuntentori, custodi, giardinieri, autisti che sparlavano l’uno dell’altro ai padroni delle ville, per convincerli a licenziare il tale e ad affidarsi a quell’altro tale. E quando poi uno sapeva della scorrettezza dell’altro, nascevano liti furibonde e si troncavano amicizie decennali. La fiducia del padrone era un’assicurazione sulla vita, anche se conquistata con l’inganno. C’era sempre un posto al sole da raggiungere per sé, per figli, mogli, cugini e amici, una condizione migliore cui ambire, c’era sempre una buia cantina da cui emergere. Per questo Parasite mi è piaciuto, ma non sorpreso. Lo avevo già visto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design