Paolo era fascista. Per chi, come me, ha sempre creduto che non potessero esistere fascisti per bene, Paolo Chiscuzzu fu il crollo di una certezza. Sono cresciuto in tempi in cui chi si professa fascista non sa bene cosa significhi realmente esserlo. Spesso è solo qualunquismo, antipolitica, disprezzo per le regole, anticomunismo epilettico, non vera consapevolezza. Molti sono fascisti perché hanno letto su Facebook che Mussolini ha istituito la previdenza sociale e forse anche la Provvidenza divina. Oggi io vedo il fascismo peggiore nelle parole sprezzanti di Giorgia Meloni e Maurizio Gasparri, quando deridono il pianto di Federica Mogherini. Però Paolo, il mio amico fascista, non avrebbe mai speculato sulla debolezza del prossimo.
Paolo Chiscuzzu era nato nel 1939 a La Maddalena e lo conobbi negli anni novanta, quando venne nominato segretario comunale ad Arzachena. Paolo era colto e conosceva profondamente il diritto e lo Stato. Parlava poco del suo credo politico, ma non esitava a definirsi fascista a chi gli chiedesse conto delle sue convinzioni. Era fascista perché credeva che nessun interesse potesse superare quello supremo della Patria, era fascista perché accettava la democrazia ma non ci credeva fino in fondo. Non accettava la corruzione, il mescolarsi di affarismo e politica, la superficialità, gli slogan elettorali fini a se stessi. Ma era anche un persona sorridente, sensibile, spiritosa, innamorata della vita, abituata a studiare scrupolosamente prima di esprimere un’opinione. Era una persona perbene. Una volta mi mandò a chiamare e mi porse un fascicolo di documenti. Avevo scritto sul giornale che la Soprintendenza aveva opposto il diniego al progetto di abbattimento della vecchia canonica, acquistata dal Comune per una barca di soldi per demolirla e regalare qualche decina di metri quadri in più alla Piazza Risorgimento. Il Comune fece sapere che era colpa della Soprintendenza. Con molta calma Paolo mi spiegò, passaggio per passaggio, che era il Comune ad aver cambiato idea e la Soprintendenza poco c’entrava, ristabilendo la verità delle cose oltre le versioni ufficiali. Gli piacevano le compagnie del bar e l’Averna, abitudine che gli avversari di turno gli rinfacciavano all’occorrenza come una debolezza. Non fu mai capace di odiare chi gli usava queste cattiverie. Paolo era amico di Cossiga, da quella volta che lo estrasse da una macchina finita in una scarpata nei pressi di Ozieri. Lui guidava da volontario l’ambulanza, Cossiga tornava da una festa elettorale assieme ad altri capoccioni democristiani. Paolo li riconobbe solo a soccorso ultimato, ma non disse una parola in più di quelle che avrebbe speso per un qualunque altro ferito.
Paolo m’insegnò, senza volerlo, che non si può giudicare una persona senza conoscerla, incasellandola in una categoria. Mi offrì evidenza di come il mondo sia una somma di indistinguibili sfumature, irriducibili al bianco e al nero.
Al paese il miglior amico di Paolo era Gian Paolo Nulvesu, comunista mai pentito. Molti non riuscivano a spiegarselo, ma c’era in effetti poco da spiegare: ci sono valori più profondi delle ideologie posticce sulle quali fondare un’intesa. Paolo è mancato alla vigilia di Pasqua. Era un fascista perbene. No, era un uomo perbene. In qualunque idea di mondo credesse.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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