Ricordate il periodo in cui nelle reti private impazzavano le telenovelas sudamericane? Topazio, Anche i ricchi piangono, Cuore selvaggio? Se la febbre da soap anni ‘80-‘90 aveva tra le conseguenze anche quella di affibbiare ai figli i nomi dei protagonisti, provate a immaginare se la stessa moda tornasse in vigore e non con nomi spagnoleggianti e facili da ricordare e pronunciare, ma bensì con questi: Oyku, Gumus, Mehmet. Perché è da qualche anno che le soap opera turche hanno invaso il mercato e, per caso, ho scoperto che sono arrivate anche da noi.
Manco a dirlo, il prodotto di cui brevemente vi parlerò, va in onda su Canale 5.
Si chiama Cherry Season, “Kirav Mevsimi” è il titolo originale. Dal punto di vista contenutistico non siamo di fronte a novità e, a ben vedere, nemmeno sul piano formale. Oyku ama Mete, lui però non la guarda nemmeno, a movimentare la situazione ci pensa l’amico e collega di lui, Ayaz, che pian piano, da apparente cattivo si avvicina all’ingenua Oyku; aggiungete personaggi di contorno che provvedono ulteriormente a infittire il plot, e più o meno avete capito di che parliamo.
Posto che a Sardegnablogger non siamo impazziti e che vedere le prime due puntate dell’opera è stato piuttosto faticoso (una puntata dura ben 1h45 minuti), gli aspetti degni di interesse sono due.
L’immagine che la soap opera ci dà della Turchia è la seguente: se non fosse per la singolarità dei nomi propri, faremmo fatica a capire che la città di ambientazione è Istanbul. Ne vediamo solo la parte moderna; la Moschea blu la si vede ripresa da lontano in una o due inquadrature panoramiche velocizzate che hanno come funzione quella di fungere da raccordo tra una scena e l’altra; le riprese riguardano perlopiù luoghi interni. I protagonisti: vestono “all’occidentale”, nessuna donna velata appare e i ragazzi sembrano tronisti usciti da un programma della De Filippi.
Ogni tanto nelle imprecazioni della sfigatella Oyku ci passa pure Allah, per quel che ho potuto vedere ci si bacia sulle guance e le amiche ammoniscono che “uscire di sera con uno sconosciuto è proibito”. Ma, in generale, Cherry Season ci regala l’immagine di una Turchia laica e perfettamente confondibile con la nostra realtà. Proprio nel momento in cui la Turchia reale è alla prese con inquietanti passi indietro in termini di libertà e diritti.
Dite che è troppo lungo il salto da Cherry Season a questioni di politica estera? Forse non eccessivamente. Le fiction turche hanno invaso dapprima il mondo arabo scalzando le produzioni egiziane e siriane, per poi arrivare sino all’Europa orientale e al Sud America. Come ha fatto notare qualcuno: “Le soap opera turche sono spesso considerate come uno strumento di soft power, vale a dire un mezzo non convenzionale per esercitare influenza e aumentare il proprio potere” (L. Nocera, The Tourkish Touch, Egemonia Neo Ottomana e televisione turca in Medio Oriente).
Dopo “La stagione delle ciliegie”, un’altra fiction turca è già pronta ad invaderci.
Probabilmente non assisteremo, in Italia, alla formazione di una generazione di nuovi nati dai nomi egli eroi turchi delle soap, cosa che in altri paesi si è puntualmente verificata. Ma se alcune voci cercano di buttare acqua sul fuoco affermando che la Turchia laica non è in pericolo, o se guardiamo alle reazioni tiepide della UE nei confronti di Erdogan, siamo perfettamente in grado di capire come i media e i prodotti culturali possano fare la loro parte.
Un uomo potente come Erdogan lo saprà sicuramente e chissà che in uno dei suoi incontri con l’amico Silvio Berlusconi non sia capitata una chiacchierata sul potere della televisione.
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