Succede che col passare dei giorni non ci si fa più caso… Io invece resto affascinata quotidianamente da come il suono della campanella trasformi gli alunni in uno sciame di ragazzini urlanti che si dirigono come uno starnuto verso l’uscita. Molti di loro tengono una sigaretta incastrata sull’orecchio ed altri abbracciano il pacchetto con una mano e il cellulare con l’altra. I libri sono pochi e quasi sempre custoditi dentro un minuscolo zaino, che non pesa affatto sulla spalla.
Piovigginava l’altro giorno, quando la campanella che libera i ragazzi dalla prigione culturale ha suonato decisa. Arrivata come sempre come una scarcerazione, accolta con un fragore di sedie che improvvisamente sono state spinte indietro col sedere. Gruppi di adolescenti, col cappuccio calato sul viso, hanno corso rannicchiati verso i motorini. Buffo vederli cercare riparo sotto i cornicioni nel tratto di strada che li separava dal parcheggio e poi scorgerli esporsi impavidi, seduti sulla sella, a quella spruzzata d’acqua che rendeva lucenti i loro giubbotti. Sfrecciavano lungo la strada, la testa bassa come degli arieti lanciati a sfondare un portone, in groppa al loro due ruote, correvano paralleli, poi qualcuno oltrepassava gli altri e rideva durante il sorpasso. Lasciava il manubrio per sollevare il dito medio e ridere senza motivo. Come solo gli adolescenti sanno fare.
Lui non aveva il motorino e si è incamminato, come ogni giorno, verso la fermata dell’autobus. Poco distante dal caseggiato scolastico. Ha atteso il mezzo di trasporto, ingannando il tempo con chiacchiere stanche e affamate scambiate col suo compagno di classe. Ed è stato in mezzo a quelle chiacchiere che si è infilato il fragore di uno sparo e un dolore a cui pochi hanno fatto caso. Tranne lui che, invece, quel male se lo sentiva nella pancia. Ha sopportato, chiedendosi forse la causa di quella fitta improvvisa, fino all’arrivo a casa. Oppure ignorandola volutamente per fingere che non esistesse.
Però le forze hanno cominciato ad abbandonarlo ed è stato l’amico ad accompagnarlo fino al portone, facendosi carico del suo zaino sulla spalla. Lì l’occhio vigile e amorevole dei genitori ha scorto i segni di uno sparo. Da quel momento tutto è diventato frenetico: l’ambulanza, la corsa all’ospedale, la tac e la sala operatoria per rimuovere dall’addome il proiettile sparato da una carabina ad aria compressa.
Ed io ancora non mi capacito di come un ragazzino possa diventare vittima di un assurdo tiro al bersaglio, non nel Bronx ma nella civilissima Olbia, mentre aspetta l’autobus all’uscita da scuola. In un giorno qualsiasi della sua vita.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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