C’è un dettaglio, nel vivace scambio in diretta tra il direttore di Repubblica e Luigi Di Maio, che mi ha molto colpito: il tentativo, da parte del vicepremier, di liquidare ad “errore materiale” la confusione tra Luigi e Mario Calabresi, senza accennare minimamente a scuse, senza voler ammettere lo scivolone e anzi replicando con accuse di superficialità al giornale del Calabresi figlio, di nome Mario. Questo episodio, apparentemente marginale e minimo, contiene in realtà verità profonde. Per chi non conoscesse i fatti: durante un confronto televisivo, il direttore di Repubblica Mario Calabresi ha fatto sapere che in una delle azioni legali mosse da Di Maio contro il giornale che dirige figura come persona querelata non lui, ma il padre Luigi Calabresi. Chi abbia un minimo di memoria storica sa che Luigi Calabresi, padre di Mario, è stato uno dei primi martiri della stagione della lotta armata di sinistra. Era un commissario di polizia e una campagna infame di calunnie mossa principalmente dalla stampa dell’estrema sinistra lo condannò a morte, armando la mano dei suoi assassini. Era il 1972. Lo ritenevano responsabile della morte dell’anarchico Pinelli. La storia, oltre la violenza delle parole, disse invece che tra Pinelli e il commissario c’era un rispetto reciproco. Di Maio vorrebbe ridurre il tutto ad “errore materiale” e non ha sentito il bisogno di scusarsi. Certo la querela la scrivono gli avvocati ma, data la delicatezza della situazione e l’importanza del ruolo occupato dal querelante, si presume abbiano consultato il querelante Di Maio. Una querela non dovrebbero essere poche righe scritte di getto. Credo vada letta, analizzata, vivisezionata, emendata, corretta, prima della sua trasmissione agli uffici competenti. La storia di questi giorni insegna a Luigi Di Maio che non andrebbe fatta confusione tra padri e figli. Ma questa confusione tra Mario e Luigi Calabresi è emblematica. Luigi venne condannato a morte da una campagna d’odio feroce, come tutti sanno. Il giorno in cui Calabresi venne ucciso, io compivo un anno di vita. E allora, per saperne di più di quel clima, sono andato a rileggermi le pagine intrise di infamie, minacce e intimidazioni contro il commissario. Ogni volta rabbrividisco di fronte alla violenza senza limiti delle parole che i redattori usavano per bastonare gli avversari politici. Mi sono chiesto tante volte se esista un legame di parentela tra quella violenza verbale e quella che oggi imperversa nel dibattito pubblico. Dalla risposta superficiale e quasi scocciata di Di Maio, nato nel 1985, deduco che nel vicepremier non vi sia coscienza di quella stagione di condanne a morte precedute da condanne sommarie scritte con l’inchiostro. Perciò a lui non sembra tanto grave aver scambiato Mario con Luigi Calabresi. “Non avere coscienza” non significa “non sapere”. Si può sapere, ma non averne coscienza. Quando è così, il peso delle parole non grava sulla coscienza. E scambiare un nome per un altro appare una sciocchezza, nulla di più.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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