É dal 1948 che la “comunità mondiale” ha in buona parte accettato l’idea che, in quella che conoscevamo allora come “Palestina”, nascessero due stati distinti, Palestina appunto ed Israele.
Una decisione presa al termine del mandato di “commissariato” di quei territori da parte dell’Inghilterra, dopo anni di attentati (per mano ebreo/israeliana) a tantissime strutture dell’allora governo coloniale britannico. Si disse si a Ben Gurion che si diede subito da fare, navi di coloni, materiale, cibo approdavano su una costa ancora tutta palestinese. Senza nessun piano concordato, quella folla di ebrei che con quelli dell’esodo avvenuto duemila anni prima non avevano proprio niente a che fare nemmeno nel DNA, cominciò così l’invasione della Palestina. La struttura di “stato” prendeva corpo per Israele mentre non vedeva la luce in Palestina, una Palestina che si frammentava e restringeva a vista d’occhio. La guerra dei sei giorni e le alture del Golahn, pezzo di Siria mai restituito, come a mettere una fiche su un gioco che oggi pare cominciare anche nella ex Persia. Poi l’acqua, poi i check-in, interminabili code prima di potere raggiungere un ospedale o la scuola, trattati come terroristi, umiliati e spogliati davanti a tutti quando non presi e tenuti, innocenti, in prigione per mesi, per anni.
O quando non falciati da un razzo che costa quanto mille di quei petardi che i più avvelenati fra i palestinesi si ostinano a lanciare, falciati insieme a venti o cinquanta altri innocenti abitanti di ghetti ben più tristi e peggiori di quelli che agli ebrei abbiamo dedicato tre quarti di secolo fa.
Ben lontano quindi, il mio pensiero, dal volere suscitare in chiunque, a partire dai palestinesi, qualsivoglia idea di vendetta o rappresaglia -strumenti che, fra l’altro, Israele utilizza sfacciatamente e religiosamente- ma soltanto un invito alla riflessione e alla ricerca di quella soluzione finale che possa essere accettata, osservata e apprezzata da tutti. La situazione, che ci raccontavano si sarebbe normalizzata dopo gli interventi afgani, irakeni e libici, è invece totalmente fuori controllo, il fondamentalismo islamico è cresciuto e bene armato, sta già costruendo altre “Israele Musulmane” in terra arabica e le finanze dei paesi “interessati” sono vicine all’ebollizione, chiediamoci perché, allora, insistere con le armi? Perché al fuoco devi rispondere? Anche se hai solo una scacciacani? Perché l’odio, espresso con tutta quella violenza, si semina meglio?
Tutti noi abbiamo pianto e sofferto, nel conoscere la storia degli ebrei nei lager nazifascisti e nell’Europa di quell’epoca, tutti noi ci siamo ripromessi un “MAI PIÚ” che non riguardava solo gli ebrei, quel mai più comprendeva l’umanità intera, perché nessuno può o deve dare sofferenze usando l’arroganza e la forza devastatrice delle armi a nessun altro, nessuno può decidere se e come un popolo, una comunità o un singolo abitante di questa terra abbia diritto o meno a starci e viverci, se c’è esiste, se esiste ne ha diritto. Si fermi quindi la costruzione di questo enorme carcere intorno ai palestinesi, a quello che ne rimane, visto che bambini e giovani sono le vittime più numerose delle “vendette” israeliane, che di “occupazioni” se ne continua a fare negli uliveti degli anziani.
I palestinesi di oggi mi stringono il cuore quanto e peggio di Auschwitz o Anna Frank, perché è chi meglio dovrebbe ricordarsi quella storia, a praticare la stessa disumanità ad altri.
Se il più forte non vuole la pace, se non sa riconoscere dignità e diritti all’avversario, a nulla sarà valsa anche la storia di Davide e Golia, a nulla tutta la ciecità che con gli “occhio per occhio” ci circonda.
[gavin®icci]
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