La Chiesa incasserà quest’anno un miliardo e 280 milioni di euro dall’otto per mille. Una cifra pazzesca, soprattutto se si tiene conto delle difficoltà finanziarie in cui si dibatte il nostro Paese e dei continui sacrifici imposti agli italiani. La Corte dei Conti, recentemente, ha sollevato forti critiche sulle modalità con cui vengono assegnati i soldi.
Sono sette le istituzioni ammesse al riparto dell’otto per mille: lo Stato, la Chiesa cattolica, le assemblee di Dio (pentecostali), gli avventisti del settimo giorno, i valdesi, i luterani, l’unione delle comunità ebraiche, quella cristiana evangelica battista, gli ortodossi, la chiesa apostolica (pentecostali pure loro), gli induisti e i buddisti. Le confessioni ammesse sono solo queste, e ultime due sono new entries. Ne mancano, però, parecchie. Ad esempio non ci sono gli adepti di Scientology (è una confessione pure quella, no?), i testimoni di Geova, che però hanno già bussato e stanno per entrare, i musulmani, con i quali non sono in vista intese, gli scintoisti, i taoisti e chi più ne ha più ne metta. Il primo appunto che la Corte dei Conti avanza è proprio basato sulla violazione del principio di uguaglianza. Non è l’unica pecca.
E’ paradossale, ad esempio, che i beneficiari ricevano più soldi da coloro che non hanno espresso opzioni. Perché accade pure questo. Se non indico a chi destinarlo, il mio otto per mille viene ripartito tra tutte le istituzioni aventi diritto all’obolo. Succede così che la Chiesa cattolica, nettamente la più gettonata, scelta nel 2011 dal 38% dei contribuenti italiani, abbia portato a casa l’82% del piatto. Cioè un miliardo e 118 milioni. La sproporzione è evidente.
Ma se io scelgo di non destinare ad alcuno il mio otto per mille e invece se lo cuccano proporzionalmente tutti i soggetti ammessi al riparto, viene meno il principio di volontarietà. Perché un contribuente ateo deve essere costretto a donare i suoi soldi a una Chiesa in cui non crede? C’è poi da capire che fine fa questa valanga di euro. E qui viene naturale il paragone con i nostri consiglieri regionali, ai quali era sufficiente presentare un foglietto con la cifra da rimborsare, senza presentare ricevute e fatture. Funziona così anche per la Chiesa? Più o meno. Sembra che un 20% circa del malloppo sia destinato a interventi caritatevoli. Il resto va al sostentamento dei sacerdoti, alle spese di culto e al pagamento di campagne pubblicitarie (9 milioni di euro nel 2005, secondo “Il Sole 24 Ore”).
E lo Stato, con quei soldi, che ci fa? Quello che vuole, senza rendere conto a nessuno. Sembra, peraltro, non abbia interesse, nonostante abbia le cosiddette pezze al culo, di sollecitare gli italiani a lasciare i soldi in casa. Secondo la Corte dei Conti, i danari vengono distribuiti a pioggia a enti privati e religiosi (!).
Nel 2004, una parte delle entrate relative all’otto per mille andò a finanziare la missione in Iraq. E una decina di milioni sono stati destinati alla conservazione dei beni culturali cattolici. In quell’anno, i nostri governanti dell’epoca decidettero di smistare una quota dell’otto per mille alle spese ordinarie (cioè di tutto e di più) anziché devolvere i quattrini a emergenze come la povertà, la fame nel mondo, le calamità naturali, uniche destinazioni ammesse in passato. Da quest’anno una parte dei soldi potranno essere impiegati per la messa in sicurezza delle scuole, grazie al pressing del M5S. Mi sembra un piccolo passo avanti.
Resta il fatto che noi italiani regaliamo un miliardo di euro ogni anno alla Chiesa. Arrivano dalle tasse. Le nostre. Loro, di tasse, non ne pagano proprio.
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