Vediamo se ho capito bene. Il Senato sta per diventare un organo con un pugno di competenze. Resta una Camera, diciamo uno Sgabuzzino, abitata da un centinaio di parlamentari che saranno indicati dalle Regioni su indicazione degli elettori. Nella scheda delle regionali l’elettore dovrebbe trovare pure la casella per indicare il suo aspirante senatore preferito. Costui, per far parte dell’assemblea di palazzo Madama, non percepirà un euro di stipendio ma ne incasserà un bel po’ sotto forma di indennità.
Insomma, un dopolavoro, come qualcuno l’ha definito, che ci costerà comunque un sacco di soldi, considerato che non mi risulta ci siano proposte per mandare in cassa integrazione tutti i funzionari, dirigenti e impiegati che lavorano per far funzionare il Senato. E allora la domanda è una sola. Perché non abolirlo direttamente, anche alla luce del mortificante spettacolo offerto agli italiani in questi giorni? Penso agli 85 milioni di emendamenti presentati dal solito Calderoli, alla guerriglia interna del Pd, al mercato delle vacche e ai procuratori dell’ultim’ora che si accaparrano brocchi e ronzini sapendo che servono solo a far numero e a rilanciare le sorti politiche di inquisiti in rotta con il Cavaliere decaduto. Tra brocchi, ronzini e cavalieri viene voglia di riabilitare Caligola.
In questa legislatura una buona metà dei senatori ha cambiato casacca. Per molti di loro si tratta di una consuetudine. Si va dove pagano meglio. In termini di soldi o di potere, di soldi e di potere. Se questa è la percezione di quella che un tempo era la nobile arte della politica, tanto vale che se ne tornino tutti a casa. Senza indennità e senza far finta di rappresentare qualcosa o qualcuno che non sia il proprio fottuto interesse personale.
Come direbbe Totò: “a proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?”.
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