Il 13 novembre 1985 l’eruzione del vulcano Nevado del Ruiz, in Colombia, causò la distruzione di 14 centri abitati e la morte di 25.000 persone. In uno dei paesi più colpiti, Armero, viveva la tredicenne Omayra Sanchez.
Quando la valanga di acqua e fango causata dall’eruzione e dallo scioglimento repentino delle nevi si abbatte su Armero, lei è tra le persone in fuga. Sarebbe forse riuscita a mettersi in salvo se, anziché fermarsi per soccorrere la nonna in difficoltà, avesse continuato a correre. Viene invece travolta e, quando la furia degli elementi si placa, Omayra scopre di poter respirare, parlare, ma non muoversi. Le sue gambe sono rimaste sotto un cumulo di pietre, travi e altri detriti.
Dalla pozza di acqua marrone emerge solo la sua testa; un cumulo di riccioli neri e due occhi altrettanto neri e profondi. Le mani si aggrappano a una trave di legno che passa davanti al suo viso. Per tirarla fuori da quella pozza occorrono attrezzature speciali che dovrebbero arrivare da lontano, pompe in grado di risucchiare l’acqua.
Per due giorni e tre notti Omayra aspetta, parlando con i sopravvissuti di Armero che non la lasciano mai sola. Con loro c’è una telecamera, arrivata lì prima delle pompe e delle attrezzature che servirebbero per salvarle la vita. E allora parla, Omayra. Parla come se tredici anni fossero un’età adulta. Non sente più le gambe e confessa di aver paura. Teme, Omayra, di diventare un peso per la sua famiglia. Si accorge che, se mai riuscisse a venir fuori da quella pozza, non avrebbe più le più gambe, non potrebbe camminare. Non pensa a sè stessa, pensa agli altri, alle persone che ama.
Lentamente, con il passare delle ore, prende coscienza della morte. Quando si è accorge che il momento è arrivato, chiede di essere lasciata sola, chiede di poter riposare. Le pompe, ad Armero, arriveranno troppo tardi. Omayra Sanchez muore il 16 novembre di trent’anni fa.
Questa foto, scattata da Frank Fournier un attimo prima della morte, si aggiudicherà il World Press Photo, dando adito a numerose polemiche.
Credo che Fournier si chieda ancora se sia stato giusto scattare quella foto e consegnarla ai posteri. Io credo di si. Ricordare Omayra, oggi, è un modo per non consegnare all’oblio una tragedia immane che mise in luce gravi inadempienze nell’organizzazione dei soccorsi da parte del Governo locale.
Ed è anche grazie a questa foto se oggi possiamo accarezzare i riccioli neri di Omayra Sanchez.
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