Ormai ragioniamo solo per il Covid, con il Covid, nel Covid, sul Covid. E’ difficile andare oltre il Covid, provare a capire che c’è altro ancora che fa paura e che non è stato debellato. Come l’AIDS, per esempio. L’ho toccato per mano molte volte, ho raccolto le storie di quei ragazzi sieropositivi e di molti ho visto la loro prematura scomparsa. Era il 1986 e all’Asinara cominciarono a scoprirsi alcuni detenuti positivi all’HIV, molti di loro in fase ARC, quella più acuta, quella che a quei tempi non lasciava scampo. Li vedevo spegnersi come delle candele, li percepivo afoni, come pentagrammi silenti o, al massimo, stonati. Per alcuni si è riusciti a fargli concedere il differimento della pena in quanto avevano una difesa immunitaria ormai minima. Di uno, soprattutto, ricordo il dramma, la paura e la sua terribile voglia di restare attaccato alla vita. Era di un paesino della provincia di Bari. Lavorava come gommista presso l’officina della diramazione Centrale. Aveva 27 anni. Positivo, fase Arc. La difesa immunitaria che crollava ogni giorno, la speranza e la rabbia. Era dentro per una serie di furti con scasso. Era dentro perché tossicodipendente. Ma amava la vita che un giorno, è vero, aveva sfidato e schiaffeggiato. “Non me lo merito”, mi diceva ormai senza forze. “Non mi merito di morire in carcere”. Ci adoperammo con il medico e il Tribunale di Sorveglianza di Sassari decise per il differimento pena. Morì due mesi dopo nel suo letto, vicino alla sua fidanzata. Desiderava sposarsi ed avere dei figli. Mi scrisse una cartolina nella quale ringraziava tutti noi e concludeva: “per fortuna le sbarre non hanno vinto. Ma per quelle siringhe ci ho rimesso la vita”. L’Aids oggi fa meno paura ma agli inizi degli anni novanta morirono in tanti: i tossicodipendenti che si passavano la siringa, chi aveva intrattenuto rapporti sessuali con persone positive e non aveva preso nessuna precauzione, pazienti in ospedale colpiti da trasfusioni di sangue infetto. Il 6 gennaio del 1993 moriva a Parigi, all’età di 54 anni, il più grande ballerino del secolo: Rudolf Nureyev. Anche le farfalle, con l’aids, perdevano le ali.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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