Il virus arrivò improvviso e incurabile. Chi ne restava infettato diventava uno zombie affamato di carne umana e assetato di sangue. Era già morto, lo sapeva. I suoi unici desideri, irrefrenabili e selvaggi, erano quelli di uccidere e poi di fermarsi per sempre. Il virus aveva in sé anche qualcosa di vagamente pietoso perché anestetizzava i vecchi sentimenti. Non c’era rimpianto per ciò che si era perso, non c’era il dolore di lasciare affetti e gioie, persino un dolore si può rimpiangere quando è umano. Niente di niente, gli zombie erano macchine di carne e ossa che sapevano e volevano soltanto uccidere e morire. L’unico modo per difendersi nell’immediato era quello di distruggerli prima che colpissero. O subito dopo che avevano colpito. Da un lato così si accontentava la loro voglia di morte, si diventava esecutori del loro destino; ma dall’altro si impediva loro di uccidere ancora. Era straordinaria la differenza tra chi sopravviveva alle loro azioni di morte, o i parenti delle vittime, o chi per caso era scampato al massacro, e chi invece vi assisteva da lontano. I primi erano composti, addolorati o impauriti, ma calmi. Il contatto stesso con la morte sembrava avere loro insegnato come combatterla. Gli altri invece, gli spettatori, erano rabbiosi. Nella successiva uccisione degli zombie sfogavano un misterioso sentimento di vendetta, incapaci di dispiegare una razionale e fredda azione difensiva. E in quanto alle origini del virus, tutti le conoscevano. Ma nessuno sembrava seriamente intenzionato a neutralizzarle. In una follia autodistruttiva, sembrava anzi che la stessa civiltà che mandava uomini e mezzi armati a distruggere gli zombie, insieme proteggesse il virus che li creava: alimentandolo nelle terre lontane in cui aveva origine; ma anche in casa propria, esasperando l’odio e la vendetta che – gli scienziati lo avevano ormai provato nei loro laboratori – erano il brodo di coltura del virus che veniva da lontano. Bombardavano i cimiteri, dicevano loro, per distruggere i morti e impedire loro di risorgere e fare strage, mentre ciascuno sapeva che il virus non più misterioso colpiva ovunque, vivi e morti, creando altra morte. In realtà quelle bombe scagliate servivano soprattutto a tenere tranquilli i vivi, la loro paura e il loro confuso desiderio di vendetta. Di solito questo film si conclude con uno o un paio di eroi che dopo avere fatto strage di zombie riescono anche a neutralizzare il virus. Però nei film di zombie ci sono sempre eroi e scienziati che ne capiscono qualcosa. E al politico ottuso si affianca sempre un altro intelligente. Quello che comincia a chiedersi: se gli zombie sono tra noi, qual è la causa? E da lì parte la soluzione finale. Oppure: ma siamo certi che quegli zombie ce l’abbiano proprio con noi o vogliono soltanto intimorirci perché noi stiamo lontani dalle terre che li hanno originati e dove vogliono comandare? E allora gli eroi del film dicono: io non ho paura, io in quelle terre ci ritorno, eccome, ma non più da predatore, ma solo per dare una mano alla parte buona di quel mondo, che è poi la gran parte. Una parte disarmata? Bene, io ti do le armi, ma senza chiederti in cambio ricchezza e potere. E allora l’eroe… Ma questo è un ridicolo film. Un vecchio horror di serie B. Lo sappiamo tutti che gli zombie non esistono.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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