Un rettangolo piccolo sta in un rettangolo grande. E avanza spazio. Non so se esiste una formula precisa per calcolare lo spazio che avanza ma, a logica, ne avanza. Anche oggi su questo treno ci sono rettangoli. Tanti. Il tavolino è un rettangolo. E sta tra i rettangoli inerti. Il giornale, dietro il quale ci deve essere seduto qualcuno (unghie poco curate e dita tozze, certo un uomo, forse un Minotauro metà uomo e metà Gazzetta dello Sport), il giornale dicevo e’ di certo un rettangolo. Limitatamente inerte. Contiene cose ma è limitato dai suoi confini spazio temporali, ha margini definiti e ha vita breve. Come una farfalla. Lo schermo del pc della ragazza, muta, che siede di fianco a me e’ un rettangolo. Di lei non vedo il viso, la testa bassa sulla tastiera fa scorrere i capelli in giù. Vedo però le dita veloci e lo schermo che brilla e vive. Il suo schermo non è un rettangolo inerte. Il tablet, che un signore distinto, di fronte, seduto dall’altro lato, sta tormentando con un dito, è un rettangolo. Non deve essere inerte, perché reagisce al dito e più reagisce più lui lo tormenta. Forse è lui che legge veloce. O non trova quello che cerca. O sta inseguendo un sogno che vorrebbe prendere con un dito, ma non riesce. Si vede che il sogno è più veloce. O forse lui gioca a Ruzzle. Però il rettangolo è vivo. E forse lui pure, a giudicare dal dito veloce. Dal viso non so, perché anche lui sta a testa bassa e mostra solo lo spazio che il tempo ha formato sulla sua testa, diradandosi tra i capelli. Il rettangolo del tablet sta nel rettangolo dello schermo del pc della ragazza e dovrebbe avanzare spazio. Tutti e due stanno nel giornale, alla grande. Ma, così, a sensazione, l’equazione non mi torna. Per me, stante la velocità di reazione, in quel rettangolo più piccolo ci deve stare più roba, sicuramente, più confusione. È più piccolo, ma le cose là dentro stanno compresse e se mettessimo quel rettangolo dentro uno più grande, le cose si espanderebbero. E addio spazio. Non ne avanzerebbe nemmeno un po. Di fronte ci sto io e un altro, pure lui cravatta e giacca come me, più giovane, penso, ha il dito più veloce, anzi le dita, ne usa due. Ci dividono anni e velocità, di dita e, forse, di pensiero. Ci unisce il rettangolo, ancora più piccolo, di uno smartphone. Il mio è vivo. Pure il suo, sembra. Dentro il mio stamattina, come ieri, ci stanno cani maltrattati, bambini sorridenti o piangenti e imbrattati di pappa o cioccolata, gente in pizzeria con calici levati, spiagge, tramonti, calciatori, gente incazzata e delusa o che dispensa consigli, ricette e sintetiche formule di felicità, karma e preghiere, politici e cuori, tifo e collera, figli, madri, padri, amici, nemici e fratelli. Tutto qua dentro. Questo rettangolo è piccolo più degli altri e starebbe dentro agli altri, ma anche qui la geometria tradisce la pratica. E l’equazione, mi sa, non torna. Il mio, come il suo rettangolo, è veloce e immediato, come questo treno ad alta velocità, che scivola sulla pianura ignorandone la lentezza, su un binario sopraelevato, in alto, a segnare la distanza tra lui e la terra, ferma nel tempo, sui cui poggia. Anche lui, il treno, ha rettangoli. Vivi. Probabilmente veri. Uno è qui, vicino a me. Come gli altri. Che gli scorrono di fianco. Su ogni lato. Dentro ci stanno cose, che sembrano veloci, ma sempre uguali. Invece scorrono lente. Di norma non le guardo più. Faccio il pendolare. Ad alta velocità e ho fretta di andare. Ieri però è nevicato, e oggi dentro il rettangolo di fianco a me, e negli altri di lato, ci stanno chiazze bianche a macchiare la pianura e le cose, e il rettangolo mi ricorda che è vivo. E lo ricorda anche a me. Come se mi strattonasse nel sonno del mattino e mi tirasse a se. Prendo il rettangolo del mio smartphone, ancora in vita, e lo poso sul rettangolo del tavolino, sempre inerte ma presente nella sua solida certezza. Dentro il finestrino, rettangolo freddo che mostra la vita, ci stanno campi, case, automobili, gente, macchinari, fabbriche e trattori, poi, mentre il rettangolo rallenta, ci stanno strade, balconi e gente, finestre e forse odori di caffè o ragù che già bolle, ci sta una donna che stende su un balcone nel gelo, sperando nel sole, uno in bicicletta che fuma dal freddo, una chiesa e una scuola che apre. Un autobus e un tram. Poi il rettangolo si spegne. Nel buio della galleria. Torino Porta Susa. Fermata sotterranea. Resto col naso quasi appiccicato al vetro. Come davanti a uno smartphone senza segnale. Ci fermiamo. Ficco il mio piccolo rettangolo in tasca. Mi alzo. Davanti a me ci stanno il Minotauro, la ragazza del pc e il signore distinto del tablet, tutti di schiena, come rettangoli di un domino pronti a muoversi in armonia. Esco fuori, anzi entro, nel mondo del finestrino. Mi tocco la faccia ed è tonda, per fortuna. Non è a rettangolo né inerte. Fuori c’è vita. E odore di caffè.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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