Qualche settimana fa ho visto in televisione il film The Mauritanian. Racconta la storia di un ingegnere mauritano, Mohamed Ould Slahi, detenuto per sedici anni nel penitenziario americano di Guantanamo, a Cuba.
Gli americani ne pretesero e ottennero la cattura nel 2002, ritenendo che l’allora giovane Slahi potesse essere un terrorista membro della rete di Al Qaeda.
Mohamed è tornato un uomo libero solo nel 2018, dopo una lunga vicenda giudiziaria dalla quale non sono emerse reali prove di un suo coinvolgimento nelle trame di Osama Bin Laden.
Non mi interessa tanto sapere se Slahi fosse o meno innocente.
Mi interessa far notare che io, cittadino di un Paese occidentale, ho potuto conoscere la sua storia.
Prima attraverso un libro scritto dallo stesso protagonista e tradotto in decine di lingue, I Diari di Guantanamo, poi dall’opera cinematografica di produzione americana realizzata da un regista scozzese di gran fama, Kevin MacDonald, che ha affidato la parte dell’avvocatessa di Slahi a Jodie Foster, stella di prima grandezza del firmamento hollywoodiano.
Tutte queste piccole notizie appena elencate sembrano di nessuna importanza. Invece un loro significato ce l’hanno.
Il significato è che nelle nostre case sono entrati gli orribili strumenti di tortura usati dagli americani a Guantanamo, la pressoché totale assenza di garanzie civili per i detenuti, le censure alle comunicazioni subite dagli stessi detenuti e le umiliazioni loro inflitte, l’inaccettabile ingiustizia di una lunga prigionia motivata dal sospetto ma senza reali prove. Nelle nostre case europee sono arrivate la parole di Nancy Hollander, la legale americana che aveva preso le difese di Slahi, secondo cui il segretario di Stato Donald Rumsfeld era uno dei più convinti assertori della sospensione dei diritti civili a Guantanamo.
Nessuno ha potuto impedire che scrittori, giornalisti, registi ed attori di primissimo piano si potessero occupare di questa operazione verità, nessuno ha impedito ai produttori di tramutare in libri e film l’odissea di Mohamed Ould Slahi.
Quell’entità geografica e culturale che noi chiamiamo Occidente avrà certo molte contraddizioni. ma la libertà di espressione resta un suo caposaldo granitico.
Ci saranno forse delle censure, ma sempre meno decisive in un tempo innervato da mille mezzi di comunicazione e in cui chiunque possieda uno smartphone può documentare la verità.
Certo, può gridare alla censura ed essere creduto anche chi balza da uno studio televisivo all’altro e gode di un’esposizione mediatica sensazionale: il capovolgimento delle realtà cui assistiamo è un’ulteriore dimostrazione delle nostre libertà.
Possiamo confondere aggressori e aggrediti senza che nessuno ci tappi la bocca.
Ho ripensato alla storia dell’ingegnere mauritano qualche giorno fa, mentre visitavo il museo della Stasi a Berlino.
Documenta, quel museo, l’agghiacciante e gigantesca rete di spionaggio allestita dal ministero della sicurezza della Repubblica democratica tedesca, un mastodonte che occupava oltre novantamila informatori e spiava ogni cittadino della Germania dell’est.
Molte storie di quel regime repressivo le avevamo intuite quando ancora il Muro di Berlino era in piedi, ma la folle complessità di quel sistema poliziesco l’abbiamo conosciuta solo dopo l’implosione del regime.
Se quel regime fosse sopravvissuto, non avrebbe mai permesso ai suoi cittadini di raccontarne liberamente le ingiustizie.
Nell’occidente di oggi, invece, si possono produrre film come The Mauritanian e denunciare dall’interno i soprusi del sistema.
Le differenze sono tutte qui.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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