I recenti referendum “nordisti” sull’autonomia fiscale, hanno comportato la diffusione di studi, più o meno autorevoli, tuttavia abbastanza univoci nel determinare uno squilibrio del carico fiscale a discapito delle regioni del Nord. Come si evince nella cartina, elaborata in questo caso dal Ministero dello sviluppo economico e sfruttata in termini propagandistici dai fautori dell’autonomia fiscale, è evidente la percezione immediata di questo squilibrio. Le regioni del Nord pagano, quelle del Sud spendono. Apparentemente, dunque, non gli si può dar torto a chi, dal nord, insiste per una maggiore autonomia finanziaria, per non parlare di quelli che parlano ancora di indipendenza. Ma è davvero così? In realtà questi studi analizzano solo un aspetto, un passaggio di un sistema economico, quello italiano, che non si esaurisce certamente con i trasferimenti fiscali tra lo stato e le regioni. E’ un po’ come se si scattasse la fotografia di un gol durante una partita di calcio, e dimostrare così la forza di una squadra, senza sapere che quella squadra ha perso quattro a uno. Una visione parziale di un sistema economico che, all’interno di un più ampio sistema mondo, vede all’interno dei confini nazionali crearsi e strutturarsi un mercato protetto di capitali, prodotti, merci, forza lavoro, accompagnato da flussi culturali, egemonici e identitari. Il primo dubbio può essere alimentato dalla genesi dello stato unitario, che parte dal Nord Italia. Lo stato italiano è, sul piano politico e militare, senza scivolare negli eccessi del neoborbonismo, una creazione del nord della penisola, o quantomeno ha avuto il maggiore impulso dalla borghesia industriale del nord, alleata, invero, con il ceto baronale e latifondista del sud. Una alleanza che, sotto certi punti di vista, ha avuto una continuità fino ai giorni nostri. Lo stesso Nord ora vorrebbe, in qualche modo, liberarsi di questa pesante palla al piede costituita dal meridione. Cosa è cambiato in questo secolo e mezzo? La nascente borghesia industriale del Nord Italia trasse vantaggio dall’unificazione di un mercato che comprendeva un sud meno competitivo sul piano economico. Una situazione egemonica della classe dirigente del nord che si rafforzò subito dopo l’Unità del paese grazie a scelte politiche, favorite dalla predominanza all’interno del Parlamento, come quella della politica protezionista, atta a favorire la crescita dell’industria del Nord, ma che penalizzò fortemente i prodotti agricoli del Sud, che si videro respinti in particolare dalla Francia (la cosiddetta guerra doganale di fine ‘800). Una volta che l’industria del Nord divenne competitiva, soprattutto con il “boom” economico del secondo dopoguerra, utilizzò proprio la manodopera meridionale espulsa dalla crisi dell’economia agricola. Un processo tipico di trasformazione economica con l’utilizzo di manodopera a basso costo per l’industria, già visto, ad esempio, nel rapporto tra le aree industriali inglesi di Manchester e Liverpool e l’Irlanda agricola. Si creò, in quegli anni, una sorta, di “sistema mondo” chiuso (la teoria che studia le connessioni tra aree geografiche economicamente forti con quelle deboli), tutto interno al paese, con il Nord che diventava così “centrale”, e il Sud che diventava così “periferico”. In questo sistema, dove il Nord era predominante, gli investimenti dello Stato si concentrarono dove si era insediata la maggiore densità di produzione, piovendo così nel bagnato. Fu così che gli investimenti delle infrastrutture si concentrarono al Nord, in quanto realtà maggiormente produttiva, specie dal punto di vista industriale, del paese. Gli effetti sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Basti pensare all’indice ferroviario. Secondo l’Istat, infatti, l’indice ferroviario nazionale risulta del 5,6 per cento, e quello del Nord – Italia del 7,2, senza considerare la qualità del trasporto, con linee elettrificate e ad alta velocità che si concentrano nella “padania”. In alcune regioni, come la Sardegna, l’indice è ancora più basso: 1,8 ogni 100 chilometri quadrati. In questo modo, ovviamente, si è creato un circuito virtuoso al nord, e vizioso al sud. In questo sistema sempre più sbilanciato a favore del Nord, anche gli investimenti per infrastrutture al Sud, o gli incentivi per l’industrializzazione, finirono per privilegiare le aziende del Nord, che si accaparrarono i finanziamenti, un po’ come avviene oggi con i cosiddetti progetti di sviluppo nel terzo mondo. Una enorme massa finanziaria incominciò, così, a spostarsi dal sud al nord, perché le imprese del nord si accaparravano i finanziamenti pubblici, e i prodotti del Nord, privi di concorrenza internazionale, iniziarono a diffondersi al Sud. Fu in questo modo che al Nord si ingenerò un sistema produttivo, e al Sud un sistema dipendente, con caratteristiche di parassitismo. Perché per fare produrre il Nord, per sostenere l’offerta, si è incominciato a sostenere la domanda del Sud. Si ricorderà, ad esempio, negli anni ’60, nel momento del diffondersi del benessere in Italia, quante fabbriche automobilistiche erano al nord e quante al sud. Erano quasi tutte al nord, a Milano e a Torino. Però quelle auto vennero acquistate da tutto il paese. Così come il diffondersi dei primi elettrodomestici nelle nostre case favorì ancora una volta le industrie del Nord con le loro marche. In tutto questo un ruolo fondamentale lo ebbe il diffondersi di pressioni sociali veicolate dai media, in particolare dal mezzo di comunicazione più pervasivo apparso sulla terra, la televisione. E così le immagini dei prodotti del Nord, nel famoso Carosello, iniziarono ad entrare nelle case della gente, creando nuovi desideri e bisogni indotti. La Lambretta, la Fiat 500, televisori, lavatrici e altri elettrodomestici di marche del Nord, i prodotti della moda, i prodotti per la casa, per non parlare dei prodotti alimentari, entrarono nelle case del Sud Italia, con tutta la forza della potenza egemonica del mercato. Il caso classico che ho già fatto è quello del panettone e del pandoro: dolci del Nord Italia che sono diventati “italiani”, sostituendo così, anche al sud, i dolci tipici locali, e ingenerando l’idea culturale di un imprescindibile abbinamento con il consumismo natalizio. Oggi la Comunità Europea e la globalizzazione hanno reso meno efficaci i confini protezionisti di uno stato nazione. Ecco cosa è cambiato in questi 150 anni. Che se prima il sostegno alla domanda del Sud, mediante il riequilibrio fiscale, tornava a vantaggio del Nord stesso per sostenerne l’apparato industriale e produttivo, oggi questa funzione equilibratrice appare, agli occhi delle classi dirigenti nordiste, un passaggio di cui si può fare egoisticamente anche a meno. In realtà è una visione miope, ottusa e demagogica, perché anche in epoca di liberismo delle merci, il sistema Italia resta a maggior ragione interdipendente, e renderlo ancora di più zoppo e impoverirne ancora di più una parte, avrebbe conseguenze nefaste per tutta l’Italia, anche per il Nord.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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