Nel giro di venti fra Scirocco e Maestrale, Luglio non si smentisce.
Calda la sabbia, calda l’acqua vicino alla riva dove la mia massa informe arriva a cercare pace, una, due, dieci rotolate sul bagnasciuga, ad ogni onda che si appoggia stanca sull’arenile la mia scomparsa stanchezza s’abbandona, che la vita lo ha già fatto.
Calda la sabbia del deserto che ho dovuto attraversare, con scarpre di due numeri più grandi, che imbarcavano quella rena bollente e mi cuoceva i calcagni tutto il tempo del giorno, poca l’acqua da bere, troppa la speranza.
Ma lo attraversammo, sfuggimmo persino ad una pattuglia di “mukabarack” e riuscimmo a raggiungere quel villaggio di pescatori dove ci attendeva il nostro Caronte, il viaggio negl’ignoto più profondo, nel più profondo Mediterraneo.
Non venivo a rubare niente a nessuno, nemmeno quello che mi è stato tolto venivo a chiedervi indietro, volevo solo vedere se c’era rimasto, su questa terra, un posto per me, per vivere, visto che qua a casa mia, si può solo morire.
Un posto dove la sabbia non bruci e non si sentano spari, un posto dove finalmente sorridere.
Io non ce l’ho fatta, il nostro Caronte era pure ladro, infame, non ci fece toccare terra ma ci spinse in acqua quand’era ancora lontana, fra frangenti furiosi, ed il mio sogno di imparare a nuotare affogò con me in pochi attimi, attimi in cui la luce della luna rendeva già fantasmatiche le nostre figure che fluttuavano giù, ingoiate dal mare.
Poi, la corrente fa il resto, ti porta al tuo porto, al tuo ultimo porto, e se i pesci e gli uccelli saranno benevoli, qualche mano raccoglierà i miei resti ancora riconoscibili e li ricomporrà sottoterra.
Ma quante mani mancheranno ancora, là dove servono per non farci affogare, quando lo capiremo, che la “salvezza” ci riguarda tutti, non solo una parte.
(A tutti i migranti vittime del Mare)
[gavin®icci]
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