C’è una persona che sta per attraversare la strada. E’ sulle strisce pedonali. La vedo. Rallento e mi fermo. La signora, con le buste della spesa in mano, appare quasi incredula al mio stop. Timidamente posa i suoi piedi sulle strisce. Mi guarda, accenna ad un breve sorriso e prima di raggiungere il marciapiede sul lato opposto mi dice “grazie”. Lo fa quasi scusandosi di avermi costretto a rallentare e fermarmi. Lo fa quasi con vergogna, con una sorta di sudditanza, quasi convinta di avere ottenuto un favore e di non esserselo meritato. Quel “grazie” offerto con grande dignità mi riporta a tantissimi grazie che siamo stati costretti a regalare e che non avevano e non hanno nessun senso. Abbiamo detto grazie all’ufficiale dell’anagrafe che tramite un amico è riuscito a procurarci il foglio di “esistenza in vita”, utile per la pensione della nonna, per poi scoprire che quel documento non serviva a nulla. Abbiamo detto grazie quando qualcuno ci ha proposto un lavoro in “nero” e poi, perché lui era uno “onesto”, qualcosa all’INPS l’avrebbe comunque versata. Abbiamo detto grazie al comandante della Tirrenia che dopo un’ora estenuante di fila ci ha dato una cuccetta per far dormire i nostri figli, cuccette trattenute inspiegabilmente per essere poi rivendute al doppio del biglietto originario. Abbiamo detto grazie all’assessore che si occupa di tuo figlio malato di Sla, al consigliere comunale che si occupa delle strade con le buche, al politico regionale che si occupa dei trasporti da Sassari a Cagliari, abbiamo detto grazie all’Anas che forse riaprirà i cantieri sulla 131; abbiamo detto grazie ai parlamentari per la continuità territoriale, per il patto di stabilità, abbiamo detto grazie a chi ha investito sull’Expò, sul biologico, sull’agricoltura ecosostenibile per poi scoprire che gli interessi erano altri. Abbiamo detto grazie a Meridiana perché non licenzia proprio tutti, abbiamo detto grazie a chi gestisce le miniere, chi delocalizza ma non troppo, abbiamo detto grazie ai sorrisi tronfi di chi fa carriera senza aver studiato, senza aver analizzato, senza un briciolo di merito. Abbiamo detto grazie a chi ci ha offerto ottanta euro e a chi non ha ci ha inferto un colpo di manganello perché volevamo solo far capire che il lavoro è dignità e non dobbiamo ringraziare nessuno per ottenerlo e mantenerlo. Non dobbiamo dire grazie per un documento che è un diritto, non dobbiamo dire grazie perché ci vengano versati i contributi, per una cabina di una nave, per i fondi della SLA, per le strade, per le scuole e per gli ospedali. Non dobbiamo dire grazie per ciò che è un nostro sacrosanto diritto. Diciamo grazie al sorriso di un bambino, ad una carezza di un anziano, ad una risata che ci fa continuare e a chi ci regala un attimo del suo tempo solo per il gusto di stare insieme. Un grazie ha sempre un peso specifico e non va regalato a chi non se lo merita. Me compreso che, fermandomi davanti alle strisce pedonali, ho solo fatto, molto semplicemente, il mio dovere di civico cittadino e non devo, per questo, essere ringraziato.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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