Questo ALT! scritto in grassetto nelle sezioni dedicate all’invio di manoscritti nei siti delle case editrici, mi fa l’effetto dei cartelli che si scorgono nella stragrande maggioranza dei locali pubblici, quelli che ti invitano gentilmente a lasciare fuori il cane.
Te ne fai, sì, una ragione, ma sempre un po’ male ci rimani.
Una volta l’ho chiesto a chi se ne intende, di questa antipatia di editori e distributori verso il racconto breve e le raccolte.
“Non vendono”.
Così, anche per fare un dispetto, l’ultimo libro che ho acquistato è una raccolta di racconti. L’ho scorto per caso, solitario nelle sue 100 pagine, seppellito in quel mare di carta rilegata e abbellita di copertine accattivanti, perché se i nomi suonano semisconosciuti la bella immagine fa la sua parte, specie se si tratta di SFOLGORANTI ESORDI! con una buona dose di eros a buon mercato spremuta dentro.
Ma dove sono, in queste librerie, quei libri che mi hanno insegnato a sapere leggere, dopo anni che ho imparato a leggere?
Per trovare una raccolta di Raymond Carver – ah, Carver, tu che non scrivesti nemmeno un romanzo! Tu, che con quei non finali sembrava volessi anche un po’ prendermi per il culo – la libraia deve salire su una scala, mettersi sulle punte e afferrare quel tomo seminascosto con la punta delle dita.
Prima di Carver, a dire il vero, furono i Racconti romani, letti tra un’ora buca e l’altra a fine anno di seconda superiore quando alle interrogazioni ormai non ci dovevo andare più.
“Racconti romani di Moravia ce lo avete?”
“ Moravia … sì, La Romana”
“ No, quello è un romanzo, cerco i racconti”
“ Ah, lo dobbiamo ordinare, forse arriva”
Non vendono.
E poi, Bukowski e la casa acida di Irvine Welsh. E l’edizione Einaudi di Pavese, quella che comprendeva “La bella estate”, “Tra donne sole” e “Il diavolo sulle colline”. Sfumature vere, quelle. Colonna sonora di almeno tre, di estati. Colonna sonora, sì, perché i racconti sono come quei dischi, perfetti, di una decina di brani e quarantina di minuti al massimo. E non amo il progressive, Pink Floyd a parte, vabbè.
Forse ce ne sarà una quarta, di estate così.
Non vendono!
E chisenefrega!
Ah, ps: il libro che ho comprato è “Troppa importanza all’amore”, di Valeria Parrella. Non è il suo migliore, no, ma in quarta di copertina dice: “I racconti sono la misura giusta per i nostri giorni … scrivo racconti quando sento che la realtà è sfuggente e varia per essere cristallizzata in una forma lunga”. E se vi state chiedendo chi diamine lei sia, leggete le raccolte “Mosca più balena” e “Per grazia ricevuta”.
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