Dopo sessant’anni di sangue e gente inerme ammazzata per strada, nei supermercati, nei tribunali e ovunque capitasse, Euskadi Ta Askatasuna chiude per fallimento. Chissà, forse la definitiva ammissione che con le armi non si fa politica e non si ottiene più democrazia, ma le si rinnegano entrambe. L’abbiamo tutti conosciuto con la sigla Eta, il terrorismo che veniva dai Paesi baschi e convertiva in violenza il suo bisogno di marcare la profonda diversità, politica e culturale, dalla Spagna. Poco meno di sessant’anni di lotta armata, una stima di 822 morti dal 1959 al 2008, anno dell’ultimo omicidio. Pochi giorni fa, il leder Josu Ternera ha annunciato la consegna delle armi e la fine di ogni azione. Ternera, per la cronaca, è latitante: ha affidato il suo messaggio ad una registrazione audio. In questo messaggio, Ternera ha detto che se l’Eta viene smantellata, non viene invece accantonato il sogno dell’indipendenza basca, da perseguire attraverso altre forme. In che modo? Parole testuali di Ternera: “Con la consueta onestà e responsabilità”. Il tutto, pronunciato dal leader di un’organizzazione che ha oltre ottocento morti sulla coscienza. Hanno goduto, i terroristi dell’Eta, di una certa ammirazione. Perché all’inizio rappresentavano non solo l’ideale indipendentista dei Paesi Baschi, ma anche una forza di opposizione alla dittatura franchista – Franco negò l’autonomia ai baschi – peraltro connotata politicamente: all’Eta erano marxisti. Perciò quando nel 1973 venne fatta saltare in aria, in pieno centro di Madrid, l’auto del colonnello Carrero Blanco, si parlò di un atto di resistenza democratica, essendo il colonnello il primo ministro nominato dall’ormai decrepito Franco. Il problema è che la nettissima maggioranza dei morti sono stati lasciati sul campo dall’Eta quando la Spagna aveva riconquistato la democrazia e non c’era un tiranno da fronteggiare. Era forse un franchista il leader socialista basco Fernando Buesa, ucciso da un autobomba a Vitoria, nel febbraio del 2000? Era un franchista José Luis Lopez de La Calle, editorialista del quotidiano “El Mundo”, ucciso nello stesso anno, noto per avere trascorso cinque anni in carcere sotto la dittatura di Franco? Era un antidemocratico il consigliere del Partito popolare basco Miguel Angel Blanco, ammazzato nel luglio del 1997? A quell’attentato la Spagna rispose con manifestazioni pubbliche e profondo sdegno, segnando di fatto la fine politica dell’Eta. Traggo da La Repubblica del 29 agosto 2000: “L’Eta torna a colpire, stavolta è toccato a un giovane esponente del Partito popolare del premier José Maria Aznar. Almeno due persone hanno fatto irruzione nel suo negozio di dolci e hanno sparato contro Manuel Indiano Azaustre, un consigliere comunale di 29 anni. L’attentato è avvenuto vicino a Zumarraga nella provincia basca di Guipuzcoa. Azaustre è morto immediatamente dopo il ricovero in ospedale. Non era sposato, ma la sua compagna aspettava un bambino”.
Assassini efferati, esecuzioni generalmente compiute un colpo alla nuca, cogliendo alle spalle il bersaglio umano, rivendicati a volte con una sfrontatezza raggelante. Come nel caso dei 23 morti al supermercato di Barcellona, il 19 giugno 1987: l’Eta spiegò che si era trattato di un errore. Morirono donne e bambini, in quell’attentato. Vite che non torneranno, neppure dopo le scuse e il pentimento di chi ha voluto questo orrore.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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