Solitamente la diatriba era Presepe o Albero? Gesù Bambino o Babbo Natale? In fondo vinceva la pragmatica del regalo (Lu Tzu: non importa di che colore è il gatto…) e tutto restava dentro le culture di famiglia. Nella mia, ad esempio, si facevano entrambi – presepio, con delle belle statuine d’arte che Baldassarre lo individuavi alla prima e albero, quello della forestale, non sintetico come oggi. A Sorso, del Natale, interessava poco e chi ha un’età matura avrà ascoltato qualche compianto amico raccontargli che la Pasqua era la vera festa, non “Pasca di Naddari”, cioè la natività. Si andava a messa, sia i Te Deum che quella di Mezzanotte, quando il Paese intero gremiva la Parrocchia e a mezzanotte la piazza echeggiava di sbaciucchiamenti e di confronti dei regali, in genere pistole e bambole per cui le poche capsule davano vita ad una serie di scaramucce episodiche e brevi per il mancare delle munizioni. Poi il benessere timido portava l’addobbo dell’abete nel cortile della scuola e si regalava il panettoncino a tutti, con che soldi boh. C’era la befana dei vigili, in piazza dirigere il traffico in mezzo a pacchi di panettoni e bottiglie di moscato spumante dozzinale, quasi un’offesa per la bontà del nostro. Era un’Italia che imparava il “semel in anno” delle feste, le implicazioni di starter del consumismo e andava bene la festa della mamma e per giusta dose anche quella del papà, cui toccava la vecchia romagna in dono. Il sospetto che fosse la Stock o la Ferrero a trarre vantaggio da queste ricorrenze divenne certezza negli anni. Ben presto la globalità vinse facile complice la comodità globali, con i cinesi a farla da padrone con alberi dai led incorporati che le palle sono superflue. Babbi Natale gonfiabili appesi ai muri esterni, maschere delle befane uguale a quelle di Hallowen (altra festa imposta), perché di Sant’Andrea o su Mortu Mortu non se ne sapeva nulla. Confusamente la TV in bianco e nero faceva filtrare voci che a Palermo San Nicola i regali li portava il 7 dicembre, dando all’egoismo interessato qualche ipotesi, lasciata cadere constatando che la tredicesima era da prendere. Insomma, snobismi. Ma anche percepire diversità. Scoprendo che il 25 è data convenzionale, quasi sincretistica, a sovrapporre la Natività a feste di culture altre. E rido a pensare a Mister Bean fare il presepe del suo Natale in solitudine, personalizzandolo con una grue gialla e un King Kong spelacchiato. Perché Natale è albero di culture nord europee e presepi mediterranei. Dove nasce Gesù? Ecco, in quella martoriata terra di Palestina, dominata dai Romani e lacerata da religioni in conflitto. Restiamo alla geografia per esprimere sconcerto, dacchè Salvini – lui, celtico cresciuto a risciacquare il catetere di Bossi alle foci del dio Po – va a Rozzano a regalare presepi giudaico palestinesi scortato dal tricolore di Gasparri o La Russa. Ecco, dall’affermazione della laicità della scuola si scivola nell’integralismo laicista, spesso frainteso o inteso come terreno di scontro politico per politici in cerca di visibilità caina. Perché scuola laica vuol dire rispetto delle culture forte della capacità di impartire una lettura, anche laica, dei simboli del Natale, certo, anche nelle classi multiculturali. Scommetto che a San Donato i bambini sardi e delle altre etnie trascorreranno in fraterna/sororale amicizia le vacanze. Con qualche cinesino e pakistano a giocare con i doni ricevuti sotto l’albero a casa dell’amico di Sassari. Non fate muri con il cemento dell’ingenuità dei bambini e delle bambine, buono per rafforzare amicizie e non divisioni. Così il nostro vescovo, eviti di provarci sempre, di andare ad evangelizzare scuole dove il progetto didattico educativo di dirigenti attente (con il conforto delle famiglie negli organi collegiali) si cala nella realtà complessa dei ragazzi da educare sencondo pluralità di appartenenze culturali. Che hanno da essere rispettate.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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