Io ho cinquantadue anni e sogni piccoli nel cassetto. Meglio, non ho neppure il cassetto. E, a pensarci bene, neppure sogno più. Anche quello è diventato un costo. Energie da mettere da parte perché non si sa mai. Avevo esordito bene. Ditta import-export del Nord Italia, sezione movimentazioni e logistica. Un diploma da ragioniere negli anni ottanta era un buon punto di partenza. Ed io son partito da un paese in provincia di Messina con pochi colori e senza neppure il mare. Quindi a Milano mi ci sono abituato quasi subito. Una vita in bianco e nero. Mi dicevano che dovevo attendere quando sarebbe arrivato un mio turno che a Milano, per uno del sud, è sempre dopo qualcun altro. Molto dopo a dire il vero. Succede che la fabbrica non paga per qualche mese gli stipendi. Mica a tutti. Solo a qualcuno. Volevano ristrutturare. I sindacati ci dicevano che c’era qualcosa di strano, che dovevamo cominciare una lotta, dovevamo farci sentire. A Milano la nebbia avvolge molte cose e tutti abbassavano gli occhi quando si trattava di lottare. Il padrone, poi, si chiamava Manager, anche se gli operai dicevano che più o meno era la stessa cosa. Mi dissero se me la sentivo di impegnarmi nel sindacato. Così cominciò. Perché non pagavano gli stipendi. E io mi misi a discutere con i capi settore, i quadri, i dirigenti e tutti avevano lo stesso sguardo livido di chi non sopportava il siciliano rompiballe. Il sindacalista mastino mi chiamavano. Stai attento mi dicevano. Compresi che dietro quell’import export c’erano molte cose che non funzionavano o funzionavano in modo sbagliato. Ma era il nostro lavoro. Non esagerare mi dicevano i dirigenti. Non esagerare mi dicevano i compagni. Non esagerare mi diceva mia moglie. Poi, un giorno mi dissero che c’erano delle lettere. Lettere di licenziamento. Si acquistano i computer e la logistica va cambiata. Anche i ragionieri servono a poco. Soprattutto i sindacalisti dico io. Non esagerare dicono i manager, non esagerare dicono i compagni, non esagerare adesso risolviamo tutto dicono i sindacati. Non esagerare che abbiamo i figli, dice mia moglie. Mi hanno licenziato e quindi sono loro ad aver esagerato. Ufficialmente per sostituirmi con il computer, in realtà perché ero un mastino rompiballe. Ha esagerato dicevano tutti. Tutti, tranne uno: il giudice. Che mi ha ascoltato e mi ha detto che avevo ragione. Non erano esagerazioni. Non potevano licenziarmi: mai un giorno di assenza, mai un orario sballato, mai un conto sbagliato. Avevano esagerato. Poi, la fabbrica è fallita. Fallita per davvero. Son finito in una piccola ditta. Siamo solo in otto e ci sfruttano. Faccio il ragioniere ma mi occupo anche di pulire il camion, movimentare le pedane. Bisogna esagerare dice il principale, bisogna darci una mano dicono tutti. Qui, da queste parti, se ti cacciano non c’è nessun giudice a difenderci. La sera, quando torno a casa piango. Lacrime vere. Ma perché non cominciamo a dire le cose come stanno? Hanno esagerato loro, i manager, i dirigenti e, soprattutto i padroni. E i politici. Perché bisogna chiamare le cose con il proprio nome. Io questa storia di far crescere il paese eliminando i diritti dei lavoratori l’ho capita poco. Ma da questa panchina traballante, da questa posizione di ricatto mica posso esagerare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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