Dieci anni fa questo post non lo avrei scritto, ma le cose cambiano. Se dieci anni fa avessi sentito parlare di numero chiuso nelle spiagge, certamente avrei litigato coi promotori del provvedimento e lo avrei respinto, considerandolo una forma di privatizzazione di un bene di tutti. Però le cose cambiano, Ieri sono stato alla Spiaggia del Principe, uno dei loghi di culto della Costa Smeralda. Qualche mese fa ho acquistato un drone e quando ho un momento libero me ne vado per calette a registrare immagini aeree. La domenica era tersa e i colori risaltavano in tutto il loro fulgore. La Spiaggia del Principe è davvero un posto dove la natura ha dato il meglio di sé. Una mezzaluna di sabbia candida, delimitata da due sculture di granito e da retrovie di ginepri e fitta macchia mediterranea. E poi il colore dell’acqua, una tonalità più turchese che smeralda: dicono sia questa spiaggia che abbia stregato l’Aga Khan, quando alla fine degli anni cinquanta sbarcò per la prima volta in Sardegna. Allora la spiaggia si chiamava Poltu li Cogghj, perché qui arrivavano le carcasse delle bestie morte negli isolotti di fronte. Skyscanner ha inserito La Spiaggia del principe tra le tre più belle d’Italia, siti stranieri come Condè nast l’hanno inclusa tra le cento più belle al mondo. Se non ci siete mai stati, queste immagini vi faranno capire di cosa stiamo parlando. https://youtu.be/T0GkmKi4Nf4 La Spiaggia del Principe la conosco da quando sono bambino, mi ha sempre incantato e ieri è stato lo stesso. Però dal profilo piatto dell’arenile e da una certa trascuratezza in fatto di pulizia mi sono chiesto fino a quando si potrà lasciare l’ingresso libero a tutti in uno spazio così limitato: la Spiaggia del Principe non è il Poetto né Platamona, è un piccolo anfiteatro che fatalmente risente della grande pressione umana nei mesi di punta del traffico turistico. Lasciamo poi perdere le tecniche talvolta usate per la pulizia dell’arenile, che prevedono il ricorso a mezzi pesanti e incompatibili con la delicatezza di questo ecosistema. Abbiamo il dovere di preservare questo capolavoro della natura, io credo anche a costo di adottare misure impopolari. Ad esempio il numero chiuso: una volta lo avrei considerato una follia ma, adesso, col tempo che passa, credo sia l’unica soluzione davvero praticabile se si vuole salvare questo gioiello dall’inevitabile degrado e consegnarlo alle prossime generazioni. Credo che lo stesso dubbio debbano porselo tutte quelle comunità sarde cui il creatore ha consegnato queste meraviglie. In un museo, in un teatro, in una cattedrale, in un qualunque luogo dove si espone la bellezza, si aprono forse i cancelli consentendo alla folla di entrarvi come fosse una mandria di bufali alla carica? No, si entra in pochi alla volta, rispettando regole e limiti dettati dal buon senso. La bellezza va difesa. Impariamo pure noi, anche a costo di apparire antipatici. Meglio antipatici che irresponsabili.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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