Ora che abbiamo sentito quel “ci può stare” pronunciato con disinvoltura dall’assessore regionale alla Sanità Nieddu, come se la percentuale di contagiati negli ospedali fosse una fastidiosa scocciatura da accettare senza drammi, una gomma bucata per strada durante una gita al mare, ora che abbiamo sentito pure questo, sarà forse più chiaro a tutti quanto la prudenza e la cura nell’uso delle parole sia un requisito irrinunciabile per un politico e per qualunque altra persona abbia un incarico di responsabilità pubblica. Oggi ho sentito per telefono un amico che presta servizio presso il pronto soccorso di un ospedale del nord Italia. È un uomo che rischia la vita. Ora immaginate se l’assessore e medico Nieddu avesse rivolto a lui quel “ci può stare”, come se i contagi tra gli operatori sanitari siano un dato inevitabile, fisiologico, e altrettanto inevitabile sia il sacrificio di chi sta in prima linea. Le parole dovrebbero contenere rispetto. Le parole sono armi da maneggiare con attenzione. La loro forma è intrisa di coscienza. Il tono con cui le si pronuncia rivela l’adeguatezza ai ruoli. C’è molta più sostanza di quanto si possa pensare in una dichiarazione infelice. Molto più di quanto immagini chi liquida quell’uscita come la semplice somma di tre parole fuori luogo. Sono sicuro che l’assessore non voleva mancare di rispetto a nessuno e non ci sia alcuna superficialità nel modo in cui sta gestendo l’emergenza, ma certo c’è stata poca misura nella sua comunicazione.
In questi giorni, sempre più spesso, mi viene in mente il professor Manlio Brigaglia. Brigaglia è mancato due anni fa. Non gli avrei augurato di vivere questo disastro, lui che già aveva conosciuto la guerra, ma egoisticamente lo avrei augurato a me. In un momento in cui tutti abbiamo più tempo per ascoltare e la parola è tornata al centro, vederlo raccontare questi giorni sarebbe stata una consolazione. Brigaglia, da erudito qual era, aveva mille cose da dire, qualunque fosse l’argomento. Ma non basta aver da dire, bisogna sapere come dire. Brigaglia sapeva come dire. Faccio un esempio, anche se il collegamento vi sembrerà forzato.
Estate del 1997. Viaggiavo verso Sassari per sostenere l’esame di Storia della Sardegna contemporanea. Al mattino presto, per strada, mi raggiunse la telefonata di un parente: “C’è un brutto articolo contro di te sul giornale di oggi”. Avevo assunto l’incarico di redattore nel bollettino di informazione edito dall’amministrazione comunale del mio paese. Non ero ancora giornalista pubblicista e questa cosa scatenò una polemica paesana sulla mia mancanza di titoli, polemica che dilagò fin sulla cronaca regionale del quotidiano con tanto di titolo in prima pagina. Mi feci leggere l’articolo. Era molto aggressivo e ne rimasi scosso. Quando giunsi davanti a Brigaglia e a sua volta lui lesse il mio nome sul libretto, inesorabile giunse la domanda: “Ma quel Giorgioni di cui parla oggi il giornale?”. Sapevo che lui scriveva per quel quotidiano. Mi convinsi di essere finito alle corde senza aver manco aperto bocca. Ero pronto a gettare la spugna, prima ancora di iniziare. Il professore se ne accorse. Mi sorrise e poi, sottovoce, mi parlò in gallurese, con tono benevolo. Ero uno studente che si manteneva con un impiego stagionale in Costa Smeralda, particolare che quell’articolo di giornale aveva riportato. Ma più di quello Brigaglia indovinò nei miei occhi il disagio di un ragazzo di paese, figlio di un camionista, da sempre in soggezione al cospetto delle autorità, dei palazzi cittadini, delle Istituzioni. Per giunta umiliato, quello stesso giorno, da un articolo di giornale. L’interrogazione fu lunga, senza sconti. Non ne ricordo le domande. Ma ricordo quelle divagazioni in gallurese e quel sorriso come fossero carezze. L’abbraccio ad una persona in difficoltà. Sapeva che le parole erano tutto, anche in quel momento. Da Nieddu, verso i suoi colleghi medici, mi sarei atteso parole come carezze. Non un asettico “ci può stare” sulla pelle degli altri.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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