Fabio Aru: campione d’Italia e quinto al Tour de France 2017
L’hai detto, eh, Fabio, l’hai detto nel tuo ultimo post su Facebook: “Non vedo l’ora di tornare”. E noi da stasera, dopo il volatone sui Campi Elisi, stiamo già contando i giorni che separano quest’ultima tappa del Tour dalla prima del prossimo anno. Vogliamo rivederti combattere ancora sulle strade della Francia, possibilmente sorretto da una squadra che ti meriti. Tutti sappiamo che hai forza, tenacia e talento bastevoli per poter arrivare davanti a tutti, un giorno. E se non dovesse capitare? L’ho già scritto l’altro giorno: la riconoscenza per la passione che ci hai trasmesso non ne sarebbe minimamente scalfita. Noi vogliamo vederti lottare, combattere, scattare. Nella vita e nello sport si vince anche così, non solo arrivando primi. (E se invece dovessi preferire il Giro d’Italia al Tour, nel 2018, tutto quel che ho scritto vale lo stesso. L’importante, Fabio, è che tu pedali). (Francesco Giorgioni)
Chi di voi ricorda gli anni ’90 e i primi 2000? Gli amanti del dato tecnico raffrontano prestazioni odierne e passate sulla VAM – la Velocità Ascensionale Media – ma l’arido dato numerico non dice tutto senza lo scenario. Dicono molto i filmati, invece; atleti con la bava alla bocca, privi di cedimenti, innaturali nel reiterare lo sforzo. Non so se i ciclisti di oggi siano “puliti”; oggi sappiamo però che paghi la bronchitella come anche il forcing del giorno prima. Fra tutti, il nostro Fabio Aru mi sembra fra i più affidabili; umano, verrebbe da dire. Le sue vittorie arriveranno e saranno limpide, con buona pace dei francesi. (Tore Dessena)
Se anni fa ci avessero detto che un ciclista sardo sarebbe emerso a livello mondiale, saremo rimasti increduli. Dal dopoguerra in poi, i sardi, piccoli, agili e veloci, sono emersi nell’equitazione, nei pesi leggeri del pugilato, nell’atletica, soprattutto nelle gare di velocità o di fondo e mezzofondo. Ma il ciclismo restava estraneo alla tradizione sarda. Mancava quel substrato culturale, quelle scuole fucine di campioni, e soprattutto il costante confronto con gli altri, per poter crescere e sviluppare i talenti che pure non mancavano nell’isola. Ma la Sardegna, apparentemente chiusa in una sorta di vortice autoreferenziale per tante cose, ha fatto molto di più. Ha piazzato in nazionale di pallavolo una ragazzona di Oristano di soli vent’anni, Alessia Orro, mentre il capitano della nazionale di basket, da tanti anni, è l’olbiese Gigi Da Tome, di altezza 2,03. Nel frattempo, i sardi, come da tradizione, continuano a correre forte, come Filippo Tortu, nato in Lombardia ma di origini tempiesi, grande speranza dell’atletica italiana. Così Fabio, andato via di casa giovanissimo per “studiare” da ciclista, ce l’ha fatta, e ora è uno dei più forti ciclisti del mondo. La Sardegna, che ci piaccia o no, ce la fa, ce la può fare, solo se si apre e si confronta con il mondo. (Fiorenzo Caterini)
Ma chi l’ha detto che le donne sarde non si occupino di sport? Lo facevano per il calcio appena sentivano il nome di Gigi Riva, di Virdis, di Cuccureddu o di Zola.. E di ciclismo? Eja, pure di ciclismo! Voi non ve lo ricordate, ma le donne sarde impazzivano per Coppi, e soprattutto per la Dama Bianca, ché è per lei che molte donne sarde hanno iniziato ad occuparsi di ciclismo. E oggi che hanno appena sentito quel ragazzo mingherlino, col sorriso accattivante, furbo e un po’ cavallino, beh, è scoppiata la Aru-mania. Perché quando senti in tivù quella parlata… -Cazz…ako? Ma ca Kazako, chissu è sasdhu! Si sente da lontano l’accento cagliaritano, che manco se ogni tanto cerca di continentalizzarlo riesce a mascherarlo. E tante sarde, soprattutto dopo la vittoria della 5^ tappa di Planches des Belles Filles (manco a dirlo) e la conquista (anche se solo per due giorni) della maglia gialla, hanno preso a seguire tutti i giorni su rai tre le tappe del Tour de France. Oggi la conclusione con Aru in quinta posizione. Oggi la Sardegna, almeno nel ciclismo mondiale, non è fanalino di coda e molte sarde esultano: “Grazie, Fabiè”!!! (Alba Rosa Galleri)
Sono passate davanti ai nostri occhi le valli e le montagne, le Alpi e i Pirenei, la Savoia, la Provenza, la lavanda e il Rodano. E’ passata la meraviglia delle curve, delle salite e della fatica, è passato il peloton unito e in fuga dentro le routes di Francia. Tra quel sudore, quella voglia di correre e, perché no, di vincere, c’era tra tante cose simili una sola cosa diversa: un caschetto con i quattro mori. Era quello di Fabio Aru, il cavaliere che ha comunque compiuto l’impresa. Dopo le sfortune accumulate nel corso dell’anno è riuscito ad onorare una corsa mondiale. Lo ha fatto con un caschetto che rappresenta la Sardegna, lo ha fatto con la maglia da campione d’Italia. Perché lo sport unisce. Grazie Fabio. A la prochaine fois, sempre da protagonista. (Giampaolo Cassitta)
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