Una volta la scuola cominciava il primo di ottobre. Per me, il primo giorno si materializzò nell’anno 1965, appena compiuti i sei anni e fresco di asilo frequentato dalle suore Orsoline dove avevo cominciato a scrivere e leggere qualcosa, grazie alla dedizione di Suor Adalberta. La maestra ci accolse con un grande sorriso. Mi sedetti tra il secondo e il terzo banco, vicino alla lavagna. Lei, la maestra, disegnò un’arancia e la colorò con il gessetto arancione. VIcino scrisse la lettera a, che io conoscevo. A come arancia, come Alghero, Antonio. Ma, inspiegabilmente non disse A come amore. A quei tempi non era previsto. Ci disse di disegnare l’arancia sul foglio e di colorarla. Avevo l’astuccio nuovo e il desiderio fortissimo di utilizzare i colori. I miei erano semplici pastelli. La ragazzina con le trecce invece aveva dei colori strani, che dipingevano velocemente e senza lasciare spazi bianchi. Non li avevo mai visti e non avevo mai visto una ragazza con le trecce bionde. Era la prima volta. Caterina mi prestò i suoi pennarelli e riuscii a colorare subito e bene la mia arancia. Scrissi dieci volte A, come voleva la maestra e mi avvicinai alla cattedra per fare vedere il mio capolavoro. Fu il primo dieci di una lunghissima serie. Giuseppe, invece cominciò a collezionare i suoi primi otto che si sarebbero poi tramutati in sei, quattro, fino a giungere a zero spaccato. Mai preso. Se mi fosse accaduto non sarei più tornato a casa. Almeno così pensavo a quei tempi. Insomma, il mio primo giorno fu una grande scoperta: i pennarelli, le trecce di Caterina e Giuseppe che non amava moltissimo la scuola. I pennarelli furono la mia passione per anni e ancora, di tanto in tanto li utilizzo, ma non ci metto più l’alcool per rivitalizzare il colore. Le trecce di Caterina non le ho più riviste e Giuseppe, da una vita, lavora come autotrasportatore. L’unica cosa che consiglierei alle maestre di oggi è provare a declinare l’alfabeto con parole nuove e quindi non A come arancia ma, almeno, A come amico. Lo so, non si impara più a scrivere in questo modo e sicuramente i bambini di oggi griderebbero senza indugio A come app. Però da anziano lievemente romanticone ritengo che i bambini debbano avere la possibilità di colorare il più possibile questo futuro mal disegnato e mal presentato da noi grandi.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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